L’aggressione della Russia all’Ucraina è un conflitto europeo. Non solo perché insiste su un territorio che è geograficamente Europa, ma perché riguarda precisamente il rapporto – mai stabilizzatosi dopo la fine della guerra fredda – fra Russia ed Europa.
Sul campo, e letteralmente sulla pelle dei civili ucraini, si fronteggiano due spinte opposte: da un lato, la potenza soverchiante delle armi russe contro il più esiguo esercito ucraino [1]; dall’altro, l’impossibilità per l’Europa e la NATO, se si vuole evitare una catastrofe mondiale, di offrire un effettivo aiuto militare. L’Ucraina si trova così schiacciata fra una forza brutale e una debolezza generata da un doloroso senso di responsabilità.
Il segno tangibile di questo squilibrio è il diniego della NATO alla richiesta ucraina di istituire una “no-fly zone” per i corridoi umanitari: far volare aerei euro-atlantici nei cieli ucraini significa infatti con altissima probabilità scontrarsi con l’aviazione russa e aprire così un conflitto globale. Da questa prospettiva, Putin sapeva di poter osare l’impensato senza temere reali ritorsioni, a parte quelle economiche.
Tuttavia, questa è solo una parte della realtà. La richiesta pressoché contemporanea di ingresso nell’Unione Europea di Ucraina, Georgia e Moldavia dimostra che questi paesi ritengono che la loro sovranità e autonomia sia meglio garantita sotto la bandiera europea che sotto l’influenza russa. Ciò che è in gioco, infatti, è precisamente la libertà di darsi un governo – quella che i latini chiamavano libertas [2] – invece di subirne uno gradito al Cremlino. Per questa libertas i cittadini di questi paesi sono disposti a sfidare il grande gigante russo. Abbiamo visto che è un rischio enorme.
Il potere di attrazione della costruzione europea è dunque molto forte: istituzioni democratiche, imperfette, ma libere e coordinate non solo sul piano economico, ma anche su quello politico. Al contrario, tutti sembrano voler fuggire dalla “protezione” offerta da Mosca. Quest’ultima, anche se riuscirà a piegare la resistenza ucraina, avrà a lungo a che fare con fortissime opposizioni interne.
È dunque l’Unione Europea, più ancora che la NATO, il nemico che Putin teme, quello che, per la sola attrattiva delle sue istituzioni, può sottrargli il controllo dei paesi confinanti. Questa forza ideale non corrisponde però a una forza effettiva, cioè militare ed energetica. Questa è la vera debolezza europea.
Lo avevano intuito i fondatori della costruzione europea: non a caso, su impulso di De Gasperi, alla Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA) si era pensato da subito di affiancare una Comunità Europea di Difesa (CED). Il progetto, lanciato dal ministro degli esteri italiano Carlo Sforza nel 1950, naufragò nel 1954 per l’opposizione dei francesi, ostili al riarmo tedesco e alla perdita di una certa egemonia sul progetto europeo [3].
Oggi, la mancanza di una politica energetica comune e di un coordinamento degli organi di difesa è esattamente il perno su cui fa leva l’azione di Putin.
Tuttavia, Putin ha sottostimato due fattori: la determinazione delle nazioni ex-sovietiche a non ricadere sotto il suo controllo e l’unità generata dall’attacco all’interno dell’UE. Gli esiti a medio termine del conflitto dipendono da questi ultimi e non sono nelle sue mani.
Da un punto di vista politico, ciò che è in questione è un certo modo di esercitare il potere all’interno e all’esterno degli Stati: se le democrazie europee risultano certamente deboli in rapporto all’esercizio della forza (e in questo sono senz’altro diverse dagli Stati Uniti), la Russia mostra in questo frangente di agire il proprio potere a partire da una struttura verticistica, in cui non vi è un reale contrappeso da parte di un’opposizione parlamentare o dell’opinione pubblica, le cui manifestazioni sono subito sedate e disperse. È per questo che il contrasto fra Europa e Russia diviene, a causa di questo conflitto, più profondo e difficile da superare.
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Sarebbe però un grave errore assumere un atteggiamento ostile verso i cittadini russi e soprattutto la cultura russa: proprio perché la deriva autoritaria del Cremlino non è l’intero della mentalità politica russa, occorre mantenere aperto un dialogo, in particolare con il mondo accademico e intellettuale. Sospesa fra Europa e Asia da sempre [4], la Russia non può né essere respinta verso Est né essere assorbita da Ovest. Le democrazie europee smentirebbero se stesse se chiudessero le porte ai cittadini russi. È da questa apertura che si può sperare, un giorno, di far uscire la Russia dall’attuale isolamento.
[1] Per fare un solo esempio, la Russia dispone di 1391 aerei da combattimento, contro i 132 dell’Ucraina. In generale, il rapporto fra le forze militari è di 10 a 1 a favore della Russia. Si vedano i dati riportati dalla CNN: https://edition.cnn.com/2022/02/25/europe/russia-ukraine-military-comparison-intl/index.html e da Defense News: https://www.defensenews.com/global/europe/2022/02/24/a-graphical-comparison-of-russian-and-ukrainian-military-forces/
[2] Su tutti, si veda la perorazione da parte di Cicerone nel De Republica: “Solo in quello Stato in cui il popolo ha il sommo potere sussiste la vera libertà, di cui non v’è bene più prezioso, e che neppure può chiamarsi libertà, se non comporta una assoluta uguaglianza di diritti” (De Republica I,31; si veda anche il De officiis I,25, in cui si mette in stretta relazione l’idea di libertà di un popolo con l’eguaglianza giuridica dei cittadini).
[3] Cfr. G. Mammarella, P. Cacace, Storia e politica dell’Unione Europea, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 55-77.
[4] Si veda A. Siljak, “Between East and West: Hegel and the Origins of the Russian Dilemma”, Journal of the History of Ideas, Vol. 62, No. 2 (Apr., 2001), pp. 335- 358.