La SLA, o sclerosi laterale amiotrofica, è una malattia neurodegenerativa che colpisce in maniera selettiva i motoneuroni, ovvero le cellule del sistema nervoso che comandano i movimenti dei nostri muscoli, anche nota in Italia come “la malattia dei calciatori”, dall’insolitamente elevato numero di giocatori che ne sono (stati) colpiti.
La patologia, le cui cause sono ancora oggetto di studi, colpisce solitamente persone adulte, con una età media di esordio a 60-65 anni; ad oggi sono circa 6.000 i malati in Italia. Come si manifesta questa patologia? Perché sembra colpire gli sportivi? A che punto è la ricerca e quali sono le prospettive future di trattamento?
Proviamo a rispondere in occasione della Giornata mondiale sulla SLA, promossa dall’International Alliance of ALS/MND Associations, che si celebra ogni anno il 21 giugno, primo giorno di primavera: una data non casuale, che esprime luce, rinascita e cambiamento verso una maggior comprensione della malattia e la ricerca di nuovi trattamenti efficaci.
La SLA, o sclerosi laterale amiotrofica, è una malattia neurodegenerativa che colpisce in maniera selettiva i motoneuroni, ovvero le cellule del sistema nervoso che comandano i movimenti dei nostri muscoli, necessari per camminare, manipolare oggetti, parlare, deglutire e respirare. I meccanismi che portano alla degenerazione dei motoneuroni sono complessi, e coinvolgono anche diverse cellule del sistema nervoso centrale come quelle della glia e le cellule infiammatorie.
A causa di molteplici fattori di rischio genetici e/o ambientali, si creano degli squilibri nei meccanismi di “clearance” neuronale, che portano alla formazione di anomali depositi proteici intracellulari e quindi alla morte dei motoneuroni. Questo causa lo sviluppo dei sintomi, che includono perdita progressiva di forza (degli arti o dei muscoli fonatori e respiratori), rigidità, fascicolazioni dei muscoli, insufficienza respiratoria. Proprio in virtù della relativa selettività per i neuroni motori, nei pazienti affetti da SLA classicamente non si osservano sintomi sensitivi (quali, per esempio, formicolii o ridotta sensibilità tattile).
La SLA è altresì nota come “morbo di Lou Gehrig”, dal nome del famoso giocatore statunitense di baseball che ne fu colpito, nome poi declinato in Italia con “malattia dei calciatori”. In generale, la pratica di attività sportiva, soprattutto se a livello intensivo o agonistico e per un tempo prolungato, è stata associata ad un rischio aumentato (seppur moderatamente) di sviluppare la SLA.
In base agli studi epidemiologici italiani effettuati sui dati degli ultimi 50 anni, è stato ipotizzato un incremento del rischio per i calciatori professionisti delle serie A o B, possibilmente in relazione ai continui microtraumi legati a questa attività, se praticata a livello agonistico [1, 2]. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per confermare e meglio comprendere il significato di questi dati.
Come già accennato, la SLA è una patologia complessa, con molteplici meccanismi in gioco che portano alla degenerazione dei motoneuroni. Allo stato attuale, solo un farmaco, il Riluzolo, è stato approvato per l’uso clinico in Italia, avendo mostrato un’utilità nel ridurre la velocità di progressione della malattia. Tuttavia, l’efficacia di questa terapia farmacologica non è ancora soddisfacente, e per questo motivo la ricerca si sta concentrando su diversi fronti, anche in virtù degli importanti passi in avanti svolti negli ultimi anni nella comprensione delle basi fisiopatologiche della malattia.
Sono infatti in corso dei promettenti trial clinici aventi differenti approcci farmacologici finalizzati a contrastare i diversi meccanismi che portano alla degenerazione precoce dei motoneuroni. In particolare, sono attivi alcuni studi volti alla prevenzione dell’accumulo o all’eliminazione di aggregati tossici all’interno della cellula. Sono inoltre in corso studi altrettanto promettenti che utilizzano molecole attive nella prevenzione e modulazione dei processi di neuro-infiammazione così come sono allo studio innovativi approcci di terapia genica, che potranno consentire un approccio anche personalizzato alla terapia. Molti dei risultati di questi studi saranno disponibili nel prossimo futuro e potranno fare chiarezza sulla eventuale e sperata efficacia di questi nuovi approcci terapeutici.