Ogni 1° Dicembre si celebra la Giornata mondiale contro l’AIDS. La scelta di questo giorno è stata istituita nel 1988 per volontà dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in occasione del Summit mondiale dei ministri della sanità sui programmi per la prevenzione dell’AIDS, ed è stata poi adottata da governi, organizzazioni internazionali ed associazioni di tutto il mondo. Da allora, il fiocco rosso (Red Ribbon) è diventato simbolo internazionale della lotta contro il virus e della solidarietà alle persone che convivono con HIV.
Qual è lo stato dell’arte, in particolare al San Raffaele? Quali terapie sono disponibili? Lo abbiamo domandato a quattro ricercatori clinici e di base del nostro Istituto.
Si ringraziano dunque per la consulenza e la redazione delle risposte: Prof.ssa Antonella Castagna (Professore Associato di Malattie Infettive UniSR e Responsabile Unità “Management and Antiretroviral Treatment of HIV Infection”), Dott.ssa Paola Cinque (Responsabile Unità di “Neurovirologia Clinica” OSR), Dott.ssa Lucia Lopalco (responsabile, Gruppo “Immunobiologia di HIV” OSR), Prof. Guido Poli (Professore Ordinario di Patologia Generale UniSR e responsabile, Gruppo “Immuno-Virologia Umana” OSR), Dott.ssa Gabriella Scarlatti (responsabile, Gruppo “Evoluzione e trasmissione virale” OSR), Dott.ssa Elisa Vicenzi (responsabile, Gruppo “Patogenesi Virali e Biosicurezza” OSR).
A livello globale si prevede che nel 2040 l’infezione da HIV continui a costituire uno dei principali fattori di mortalità in molti paesi dell’Africa Sub-sahariana. In Italia, grazie alla terapia oggi le persone infettate hanno un’aspettativa di vita simile a chi non è infettato; tuttavia l’AIDS (la “sindrome da immunodeficienza acquisita”, un tempo mortale, che caratterizza l’ultimo stadio dell’infezione da HIV) continua a essere presente nella nostra società. Si stima infatti che circa 1 persona su 5 scopra di essere infettato dal virus HIV nel momento in cui viene fatta la diagnosi di AIDS.
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Ciò significa che questa persona ha avuto diversi anni di tempo in cui potrebbe aver propagato l’infezione ai propri contatti sessuali. Si sovrappone anche il problema dei teenager, che non vengono educati alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse (non solo HIV, ma anche epatiti virali, sifilide e gonorrea) e che credono che se dovessero contrarre l’infezione da HIV ci si potrebbe curare facilmente. Ignorano che le terapie, per quanto efficaci, purtroppo non eliminano l’infezione, che accompagna una persona per il resto della propria vita.
La terapia dell’infezione da HIV è ancora oggi basata sulla combinazione (solitamente) di tre farmaci (“combination antiretroviral therapy, cART”), che è stata – e continua ad essere – un enorme successo della ricerca medica e dell’industria farmaceutica. Oggi sono disponibili moltissimi farmaci in diverse formulazioni, offrendo anche la possibilità di assumere solo una pillola al giorno semplificando moltissimo l’aderenza terapeutica e quindi la sua efficacia nel tempo. La capacità della cART di bloccare la replicazione virale ha permesso di controllare lo stato d’immunodeficienza causato dal virus e di far sì che le persone infettate in trattamento cronico abbiano una speranza di vita simile a quella delle persone non infettate di pari età.
La terapia, tuttavia, va assunta ogni giorno: se viene sospesa, il virus presente nei cosiddetti ‘serbatoi’ (“reservoir”) virali non intaccati dalla cART, costituiti da cellule contenenti il provirus (cioè il DNA virale) integrato nel proprio DNA, fatalmente si riattiva e fa riprendere la malattia nella sua progressione naturale.
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Inoltre, la cART ha dei costi importanti, sia in termini di spesa pubblica per i farmaci (garantiti gratuitamente a tutti in Italia) che di effetti collaterali rilevanti. Al riguardo, è appena terminato un importante studio clinico multicentrico mondiale, lo studio “AMP” (https://ampstudy.org/), per testare l’efficacia nel prevenire l’infezione da parte di anticorpi in grado di neutralizzare un ampio spettro di varianti di HIV. Questo studio fornirà importanti informazioni per sviluppare protocolli alternativi o complementari alla cART in quanto potrebbero essere assunti a intervalli mensili anziché giornalieri.
Negli ultimi 30 anni sono stati testati differenti approcci vaccinali basati sull’induzione di anticorpi che neutralizzino il virus o sull’attivazione dell’immunità cellulo-mediata con scarsi successi e molte delusioni. Tra i diversi studi clinici di fase III (efficacia), soltanto uno condotto in Tailandia e pubblicato nel 2009 (RV144) ha indotto una protezione dall’infezione del 30% nei primi 3 anni di esposizione al virus (per poi esaurirsi).
Recentemente lo studio clinico di fase III in Africa, HVTN705, che mira a confermare i risultati dello studio RV144, è stato purtroppo sospeso per futilità, mentre lo studio clinico IMBOKOKO, è ancora in corso in Africa ed è finalizzato a testare l’efficacia di due approcci vaccinali somministrati contemporaneamente.
Come Ospedale San Raffaele partecipiamo ad un consorzio finanziato dalla EU (EAVI2020 - http://www.eavi2020.eu/) dedicato allo sviluppo di nuovi approcci vaccinali preventivi e terapeutici (ovvero finalizzati ad ottenere il controllo dell’infezione in assenza di cART).
Nell’attesa di un vaccino efficace, si sta anche esplorando la possibilità di sfruttare i farmaci antiretrovirali in protocolli preventivi di profilassi pre-esposizione (“PreP”) per esempio in coppie omo o eterosessuali, dove solo uno dei partner è infettato e la cui efficacia nel prevenire l’infezione (>95%) è stata ampiamente dimostrata.
Nonostante la generale carenza di finanziamenti, sia a livello nazionale che internazionale, i diversi gruppi di ricerca di base e traslazionale del San Raffaele sono ancora attivi con 23 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali di rilievo tra il 2019 e il 2021. Le principali linee di ricerca di base e traslazionale sono così riassumibili:
Questa attività di ricerca è integrata dall’importante ricerca clinica (che enumera ben 85 pubblicazioni nel periodo 2019-2021) basata principalmente sui 7,000 pazienti seguiti al Centro San Luigi (CSL) costantemente monitorati grazie ad un importante database.
La collaborazione tra le diverse componenti della ricerca sull’AIDS e l’infezione da HIV del San Raffaele, nata nei primi anni ’90 con la nascita del CSL e del DIBIT, si sta oggi focalizzando sulla possibilità di identificare strategie per giungere alla “Cure” (ovvero all’eradicazione dell’infezione o quantomeno alla remissione a lungo termine dopo la sospensione della cART). Lo sforzo di raggiungere quest’obiettivo coinvolge altre realtà importanti del San Raffaele quale l’Area di Oncoematologia per lo studio del trapianto di midollo e di cellule staminali in pazienti sieropositivi (Prof. Fabio Ciceri) e il TIGET, specificamente con il Dott. Eugenio Montini e la Dott.ssa Daniela Cesana, per la caratterizzazione molecolare delle cellule cronicamente infettate.