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Capire gli altri, con la SLA: due parole sulla cognizione sociale

Scritto da Team Comunicazione UniSR | Jun 20, 2025 1:59:11 PM

In occasione della Giornata mondiale della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), che si celebra ogni anno il 21 giugno, abbiamo intervistato la Dottoressa Elisa Canu, ricercatrice presso il laboratorio di Neuroimaging of neurodegenerative disorders dell’IRCCS Ospedale San Raffaele diretto dal Prof. Massimo Filippi per approfondire gli aspetti cognitivi di una malattia che spesso si ritiene colpisca solo le abilità motorie.

Dottoressa, che cos’è la SLA?

La Sclerosi Laterale Amiotrofica, abbreviata SLA, è una malattia neurodegenerativa che colpisce primariamente i motoneuroni, ossia le cellule nervose dedite al controllo muscolare. Quasi tutti i pazienti SLA presentano primariamente sintomi motori, debolezza, rigidità o atrofia muscolare (perdita di massa muscolare), ma anche – nelle forme più aggressive della malattia – difficoltà nella respirazione, nella deglutizione e disartria, cioè la difficoltà ad articolare le parole in modo chiaro e comprensibile. Solo in Italia e ogni anno la malattia colpisce da uno a tre nuovi individui su 100.000 persone, con alcune importanti preoccupazioni sul piano clinico. Ad oggi non esistono, infatti, trattamenti mirati che rallentino o interrompano la progressione della malattia, che ha una durata media molto breve, di circa 3-4 anni.

Spesso si pensa che la SLA sia una malattia soltanto motoria. È veramente così?

Sebbene l’esordio della malattia sia caratterizzato da difficoltà motorie, la SLA può presentare anche sintomi cognitivi-comportamentali. Questi sintomi insorgono, infatti, nel 30-50% dei pazienti, che possono avere delle difficoltà nelle funzioni esecutive, come la capacità di pianificare, di inibire risposte automatiche o inappropriate, e di adattare strategie in base alle esigenze della situazione, e/o comportamentali, come il distacco emotivo o la disinibizione.

Perché non ci si è mai soffermati sulla dimensione cognitiva di questi pazienti?

Fino a pochi anni fa ci si concentrava primariamente sulla difficoltà motoria della malattia, sintomatologia principale per cui il paziente si reca da uno Specialista. Tuttavia, lo studio approfondito di questa malattia ha progressivamente permesso a ricercatori e medici di riconoscere aspetti clinici, patologici e genetici condivisi all’interno dello spettro delle malattie frontotemporali, un gruppo di malattie neurodegenerative che causano il deterioramento progressivo di funzioni cognitive e comportamentali.
L’approfondita valutazione neuropsicologica di questi pazienti sul versante cognitivo e comportamentale ha messo in luce delle alterazioni che insorgono in modo subdolo e silenzioso, tali da non essere riconosciute né dal paziente né dal caregiver. Spesso, inoltre, le alterazioni cognitive e comportamentali nei pazienti con SLA si associano ad anosognosia, una condizione in cui la persona non è consapevole dei propri disturbi che quindi potrebbero non venire percepiti. Il caso è diverso, per esempio, nei pazienti che soffrono di malattia di Alzheimer, i quali mostrano disturbi della memoria di cui sono spesso consapevoli.

Tra le abilità cognitive principali c’è anche la cognizione sociale: che cos’è e come si configura nei pazienti SLA?

Una delle branche più giovani della neuropsicologia è proprio la cognizione sociale. Con questa espressione s’intende la capacità di capire intenzioni, desideri, emozioni altrui, capire norme e regole sociali collettive e comportarsi di conseguenza. Fino a poco tempo fa la cognizione sociale non era stata studiata clinicamente: soltanto nell’ultimo decennio si è capita l’importanza di indagare anche questa abilità. La cognizione sociale richiede la cosiddetta “teoria della mente” e si articola in due dimensioni principali: una cognitiva, che riguarda la comprensione degli stati mentali altrui, come intenzioni e desideri, e una affettiva, che invece implica la comprensione delle emozioni e dei sentimenti degli altri. Così, la cognizione sociale comprende la percezione sociale, ovvero la capacità di riconoscere non solo i volti, ma anche le emozioni che esprimono, insieme al linguaggio del corpo e alla prosodia. Infine, un ultimo aspetto fondamentale è il comportamento sociale, ossia la capacità di agire in modo appropriato in relazione alla tonalità emotiva di una determinata situazione. Ecco, i pazienti SLA presentano una generale difficoltà nel riconoscere le emozioni facciali, soprattutto quelle negative come la tristezza, la rabbia e il disgusto, oltre che nell’inferire stati cognitivi altrui.

Qual è la vostra ricerca nell’ambito della cognizione sociale?

Nel gruppo di Neuroimaging of neurodegenerative disorders affrontiamo anche questo tema. In collaborazione con l’Istituto Auxologico di Milano e con l’UCSF (University of California, San Francisco) abbiamo condotto uno studio utilizzando i “volti di Ekman”, immagini di volti che esprimono le espressioni universali delle emozioni fondamentali, ossia gioia, tristezza, rabbia, sorpresa, paura, disgusto. Queste immagini sono di norma impiegate per studiare il riconoscimento emotivo in un determinato campione di persone, chiedendo loro per esempio di indicare quale volto, tra cinque possibili opzioni, esprime una certa emozione. Il nostro studio ha mostrato come questo tipo di test riescano a discriminare non soltanto i soggetti sani da quelli affetti da SLA, ma anche di distinguere chi, nei soggetti malati, presenta un disturbo cognitivo oppure no. È importante ribadire però che alcuni test riescono a discriminare i pazienti sani da quelli malati, ma al contempo non riescono a distinguere in modo ottimale chi ha dei segni iniziali di disturbo cognitivo. Per questo motivo, un approfondimento neuropsicologico resta necessario.

Qual è il messaggio più importante da trasmettere secondo lei quando si parla di SLA?

Il messaggio più importante da trasmettere, secondo me, riguarda la complessità della malattia. La SLA è pertanto una malattia che coinvolge le abilità motorie, ma talvolta anche la dimensione cognitiva e comportamentale. Per questo motivo, è importante superare la concezione della SLA come una patologia esclusivamente motoria, riconoscendo che richiede un approccio assistenziale che includa non solo il supporto fisico, ma anche quello cognitivo e comportamentale. La ricerca sulle abilità cognitive e comportamentali è fondamentale per la prognosi clinica e perché riguarda pazienti a cui viene chiesto di prendere decisioni sulle strategie terapeutiche, per cui dobbiamo sapere che questi pazienti sono in grado di decidere per sé.

 

Intervista a cura di Andrea Iotti