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Festa della Repubblica: noi, eredi di una nobile tradizione

Cultura e società

Festa della Repubblica: noi, eredi di una nobile tradizione

1 giu, 2021

Celebrare la Festa della Repubblica non significa soltanto ricordare la scelta referendaria compiuta dagli italiani il 2 giugno 1946 a favore della forma di governo alternativa alla monarchia. Significa ricollegarci alla lunga e nobile tradizione repubblicana, le cui radici filosofiche e politiche corrispondono ai momenti più alti della cultura europea e occidentale.

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Scheda elettorale del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Photo credit: Wikimedia Commons

La tradizione repubblicana: le origini

Repubblica o Politeia [1] è l’opera in cui Platone non solo affronta il tema della giustizia, come la forma più alta di esistenza sociale, ma anche traccia la sua dottrina delle idee, ovvero la sua metafisica. È l’idea del Bene, contemplata al termine di una progressione dialettica che conduce dal sensibile al soprasensibile, che fonda la legittimazione dell’autorità politica: solo chi ha contemplato il Bene può avanzare la pretesa di governare la polis.

In questo modo, la tradizione repubblicana congiunge in maniera indissolubile il governo politico con la conoscenza del bene comune.

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Analogamente, Cicerone nel De re publica [2] tratta de optimo statu civitatis et de optimo cive, ossia della miglior condizione dello stato e del cittadino migliore, e rintraccia i fondamenti del buon governo nella virtù (virtus) e nei comportamenti morali (mores) dei cittadini.

La concezione romana della repubblica appare più democratica di quella greca, poiché affida il governo non ai pochi sapienti ma alla virtù civica dei rappresentanti, riuniti nel Senato. Proprio Cicerone denunciava la decadenza di questa virtù come causa del declino di Roma e presentiva così l’avvento prossimo della tirannia di Cesare e, conseguentemente, dell’impero, che fu l’inizio della fine per Roma.

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Repubblica e proprietà comune dei beni

La tradizione repubblicana è però lungi dallo spegnersi: Thomas More sottotitola la sua Utopia (1516)[3] con la dicitura de optimo reipublicae statu, partendo dalla denuncia dell’appropriazione delle terre da parte dei landlords a danno della proprietà comune. Un processo che segna l’inizio di un’economia capitalistica e che defrauda i contadini e i ceti poveri a favore di una classe che si occupa di sfruttare la terra come pascolo per le pecore, la cui lana è oggetto di un fiorente commercio che arricchisce soltanto gli aristocratici.

More, consacrato poi come santo e protettore dei governanti, disegna nel II libro il profilo di una repubblica bene ordinata, basata sulla proprietà comune dei beni, sul lavoro non servile di tutti i cittadini, elettiva ed essenzialmente democratica, anticipando molta della riflessione moderna in filosofia politica.

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Hans Holbein the Younger, Sir Thomas More, 1527. Photo credit: The Frick Collection, New York

 

More, tuttavia, non considera fino in fondo il fenomeno di cui pure era testimone, ossia la globalizzazione, effetto immediato delle scoperte geografiche e della colonizzazione.

Sarà poi l’illuminismo, e segnatamente Kant, a tracciare nell’Idea per una storia universale in prospettiva cosmopolitica (1784) [4] l’ipotesi di una confederazione di repubbliche, ovvero di un coordinamento fra Stati sovrani in cui vivono cittadini liberi: un ideale che ancora suscita un forte interesse, di fronte alla frammentazione dell’ordine mondiale e in vista delle sfide – prima fra tutte quella ecologica – che possono essere affrontate solo grazie alla collaborazione fra gli Stati.

 

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Il dibattito contemporaneo

Nel dibattito contemporaneo, la tradizione repubblicana – per esempio in Il repubblicanesimo di Philip Pettit [5] – insiste sul valore della partecipazione politica, ovvero da un lato sul rifiuto di una visione che riduce il cittadino a individuo privo di relazioni costitutive della sua identità (come nel paradigma liberale), dall’altro sulla libertà come non-dominio, ovvero come condizione alternativa a ogni soggezione a poteri “forti” che creano forme anche subdole di oppressione.

Così, la Repubblica Italiana rinnova ogni anno la propria irrinunciabile scelta per questi valori repubblicani, per la democrazia e per il lavoro come fondamento della partecipazione attiva al bene comune.

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References

[1] Platone, Repubblica, in Id., Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000.

[2] Cicerone, La repubblica, a cura di F. Nenci, Rizzoli, Milano 2008.

[3] T. More, Utopia, tr. it di L. Girardi, Mimesis, Milano-Udine 2020.

[4] I. Kant, Idea per una storia universale in prospettiva cosmopolitica, tr. it. di S. Bacin e F. Pongiglione, Mimesis, Milano-Udine 2015

[5] P. Pettit, Il repubblicanesimo, tr. it. di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2000

Scritto da

Roberto Mordacci
Roberto Mordacci

Roberto Mordacci è Preside della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Filosofia morale e Filosofia della storia. È Direttore dell'International Research Centre for European Culture and Politics (IRCECP). Il suo ultimo libro si intitola "Ritorno a Utopia" (Laterza, Roma-Bari, 2020). Ama il blues, il cinema e le Moto Guzzi. Non necessariamente in quest'ordine.

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