Un vaccino è una strategia d’immunizzazione contro agenti patogeni o loro tossine, somministrata allo scopo di prevenire una o più malattie infettive attraverso l’esposizione del sistema immunitario a loro componenti, in qualche caso anche patogeni attenuati per capacità di causare malattia, e la conseguente acquisizione della cosiddetta “immunità specifica”, soprattutto mediante la produzione di anticorpi solubili in grado di riconoscere il patogeno prima che entri in contatto con le cellule dell’ospite.
I vaccini si dividono in due grandi categorie: quelli preventivi (o profilattici) e quelli terapeutici, somministrati a persone già infettate per potenziarne la risposta immunitaria e ancora oggetto di ricerca sperimentale.
In questo breve articolo per “vaccini” ci riferiremo esclusivamente alla prima categoria dei vaccini preventivi.
L’importanza dell’immunizzazione preventiva (profilattica) contro le malattie infettive è testimoniata dal successo di programmi mondiali di vaccinazione, che hanno portato nei Paesi più sviluppati alla pressoché totale eradicazione di molte malattie.
In piena emergenza COVID-19, la comunità scientifica si è immediatamente attivata per la predisposizione di uno o più vaccini sicuri ed efficaci, almeno parzialmente, per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 e l’eventuale evoluzione clinica nella grave malattia respiratoria nota come COVID-19.
Nell’attesa dell’arrivo di un vaccino efficace, proponiamo un breve riassunto dei principali approcci vaccinali finora sperimentati.
L’origine della somministrazione del vaccino
Già i popoli antichi si erano resi conto che alcune malattie colpivano un individuo solo una volta nell’arco della vita; se riusciva a superare indenne l’infezione, il soggetto non si sarebbe più ammalato della stessa malattia, o sarebbe eventualmente incorso in forme clinicamente più lievi.
Ad esempio, diverse fonti riportano l’esecuzione, in alcune regioni asiatiche, di pratiche profilattiche consistenti nell’inalazione di polveri ottenute dalle lesioni cutanee causate dal vaiolo.
I soggetti trattati sviluppavano una forma attenuata del vaiolo e soprattutto, in caso di contatto ulteriore con il virus, non si sarebbero più ammalati.
La diffusione su larga scala di questa tecnica, detta variolizzazione, non fu possibile per diversi motivi, principalmente per il rischio di manifestare, dopo il trattamento, non una forma attenuata del vaiolo, bensì la malattia in tutta la sua gravità.
L’introduzione della prima vaccinazione (e del primo vaccino) della storia si deve al medico inglese Edward Jenner (1749-1823). Egli notò come gli allevatori di bestiame che avevano contratto il vaiolo bovino (malattia con decorso molto più benigno) tendessero a non ammalarsi di vaiolo umano.
Da questa osservazione nacque l’idea di vaccinare soggetti non più con materiale proveniente da pustole di vaiolo umano, ma con materiale ottenuto da lesioni analoghe di vaiolo vaccino.
Per il ruolo del vaiolo bovino nella procedura, Jenner la battezzò vaccinazione, e venne definito vaccino il preparato in grado di indurre un’immunità acquisita, vale a dire la capacità del sistema immunitario di ricordare la prima più blanda infezione e di combattere contro un’infezione più aggressiva.
La dimostrazione definitiva di efficacia fu ottenuta inoculando (più volte) ai soggetti vaccinati il contenuto delle pustole di vaiolo umano e osservando che non sviluppavano malattia.