La consapevolezza sull’importanza dell’inclusione e del sostegno alle persone con disabilità sta crescendo, ma resta ancora molto da fare, soprattutto quando si parla di disabilità intellettiva.
Si tratta di una delle condizioni più diffuse, ma anche tra le più complesse da comprendere e affrontare.
Grazie ai progressi della ricerca genetica, stiamo iniziando a svelare i meccanismi alla base di queste condizioni, con l’obiettivo di sviluppare approcci terapeutici sempre più mirati. Uno degli studi più recenti in questo ambito riguarda il gene WASHC4, su cui si concentra un progetto di ricerca finanziato da Fondazione Telethon e Fondazione Cariplo.
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La disabilità intellettiva e le sue cause genetiche
La disabilità intellettiva è definita come un deficit nello sviluppo delle funzioni cognitive e dei comportamenti adattativi, ovvero quell’insieme di capacità pratiche, sociali e di ideazione che si acquisiscono con le esperienze della vita quotidiana affrontate durante la crescita. Queste funzioni includono ad esempio la capacità di ragionamento, l’acquisizione di nuove conoscenze, leggere e scrivere, socializzare e comunicare con gli altri.
La diagnosi di disabilità intellettiva, con vari gradi di gravità, si riscontra nell’1-2% della popolazione globale. Si tratta quindi di una condizione molto comune con una ricaduta sulla società estremamente rilevante. La disabilità intellettiva può presentarsi come unico sintomo. In tal caso si parla di disabilità intellettiva non sindromica.
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Più spesso, la disabilità intellettiva si presenta all’interno di un quadro sindromico più complesso, che può includere difetti di sviluppo quali dismorfismi facciali o sintomi neurologici quali epilessia.
Nella maggior parte dei casi la disabilità intellettiva ha una base genetica; infatti, sono state identificate diverse varianti genetiche in circa 1300 geni. Visto il gran numero di geni coinvolti la diagnosi genetica e la ricerca delle varianti causative è difficile, richiedendo in alcuni casi il ricorso a nuove tecniche di sequenziamento dell’intero genoma umano, oggi sempre più diffuse e più accessibili. La possibilità di sequenziare l’intero genoma pone però ulteriori nuove sfide nell’interpretare e validare le variazioni di sequenza che possono essere identificate all’interno degli oltre 20.000 geni che compongono il nostro genoma. In questo senso, la ricerca di base è di grande importanza per studiare se e come la mutazione di uno specifico gene può alterare la funzionalità del neurone e lo sviluppo del cervello utilizzando modelli cellulari e animali di malattia.
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Molti geni ma vie molecolari comuni?
A dispetto dell’enorme complessità genetica alla base della disabilità intellettiva, decenni di studi hanno oggi evidenziato come varianti in geni differenti convergono verso processi cellulari comuni. In altre parole, la causa genetica primaria può essere diversa, ma le conseguenze cellulari e molecolari in alcuni casi sono simili.
Questo diventa estremamente rilevante nell’ottica di identificare i meccanismi cruciali nello sviluppo della patologia che sono comuni a più pazienti e che possono essere sfruttati per approcci terapeutici applicabili a più di uno specifico caso.
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In questo contesto si inserisce un progetto recentemente avviato grazie alla collaborazione tra la Dott.ssa Patrizia D’Adamo dell’Università Vita-Salute San Raffele e la Dott.ssa Fabrizia Guarnieri dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Milano. Il progetto, finanziato da Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon, ha come scopo quello di descrivere i meccanismi molecolari che determinano l’insorgenza della disabilità intellettiva in pazienti che presentano mutazioni nel gene WASHC4. L’ipotesi è che mutazioni in questo gene alterino il traffico di organelli all’interno delle cellule neuronali, con possibili difetti nella localizzazione di alcune proteine sinaptiche che supportano l’attività neuronale, analogamente a quanto già descritto dalla Dott.ssa D’Adamo in caso di mutazione di un altro gene, RAB39B.
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Prospettive future
Ad oggi, i trattamenti per la disabilità intellettiva si concentrano principalmente sulla gestione dei sintomi, attraverso terapie farmacologiche, riabilitative e di supporto educativo, ma di fatto non abbiamo ad oggi strumenti efficaci nel correggere lo sviluppo di disabilità cognitiva.
Nel caso di mutazioni in RAB39B, alcuni farmaci sono in corso di sperimentazione pre-clinica in modelli animali e, se i meccanismi identificati saranno simili, potranno essere testati anche in modelli WASHC4. Se lo studio su WASHC4 confermerà ipotesi già formulate su meccanismi condivisi, si potrebbero aprire nuove strade per lo sviluppo di terapie mirate.