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I vaccini contro Covid-19: a che punto siamo?

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I vaccini contro Covid-19: a che punto siamo?

26 nov, 2020

Sin dall’inizio della pandemia di Covid-19, la comunità scientifica internazionale si è immediatamente attivata per la predisposizione di uno o più vaccini sicuri ed efficaci per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 e l’eventuale evoluzione clinica nella grave malattia respiratoria nota come Covid-19.

Lo sviluppo di un vaccino è un processo lungo, che generalmente richiede attorno ai 10 anni prima dell’immissione sul mercato. Vista l’attuale emergenza, gli sforzi dei ricercatori di tutto il mondo hanno portato all’identificazione di alcuni candidati efficaci in tempi record.

Nonostante (o proprio per) questo, ogni potenziale composto è stato sottoposto a studi rigorosi, indagini meticolose, regole ferree, come sempre accade nelle sperimentazioni condotte correttamente – ma in questo caso, per accelerare i tempi le diverse fasi di sperimentazione di cui sotto (dalla I alla III) sono state condotte in parallelo.

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Le fasi della sperimentazione clinica di un vaccino

Ogni farmaco o vaccino, prima dell’immissione in commercio, va incontro a differenti fasi. Una volta identificata la molecola (o l’approccio) candidato, ha inizio la cosiddetta fase preclinica, in cui viene testata la risposta immunitaria e/o i meccanismi avversi su organismi viventi complessi non umani.

Superata questa fase ha inizio la vera e propria sperimentazione clinica sull’uomo, che si realizza in 3 fasi più una:

  • Fase I: prima somministrazione del candidato farmaco o vaccino su un numero limitato di volontari sani (poche decine). Lo scopo è valutare la sicurezza e tollerabilità, intese come eventuale insorgenza di effetti collaterali importanti;

  • Fase II: superata la fase I, il candidato farmaco o vaccino viene somministrato ad un numero maggiore di soggetti (centinaia di volontari, questa volta non sani bensì pazienti). Lo scopo è identificare la modalità di somministrazione e il dosaggio più efficace per indurre la risposta desiderata (nel caso di un vaccino la produzione di anticorpi) e valutare l’eventuale insorgenza di effetti indesiderati. È possibile anche disegnare lo studio per ottenere risultati preliminari di efficacia (cosiddetta “Fase IIb”);

  • Fase III: superata la fase II, il candidato farmaco o vaccino viene somministrato a un numero elevato di persone (migliaia di pazienti, di solito arruolati in più centri di ricerca) allo scopo di dimostrarne l’efficacia nel prevenire (vaccino) o curare (farmaco) una certa patologia.

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Dopo aver verificato che tutti i risultati dei test siano in linea con gli standard richiesti, il produttore procede alla preparazione di un dossier da inviare alle autorità competenti, come AIFA (“Agenzia Italiana del FArmaco), EMA (“European Medicines Agency”), FDA (“Food and Drug Administration”, negli USA), per richiederne la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione: queste possono avvenire solo dopo il nulla osta ufficiale di questi enti.

Una volta immesso nel mercato, vi sono studi definiti di fase IV (“post-marketing”) che consistono nel monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione eterogenea e in costante aumento. Per maggiori informazioni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccoglie e aggiorna tutte le info sui vaccini in sperimentazione a questo link.

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Pfizer/BioNTech, Moderna e i vaccini a RNA messaggero (mRNA)

Nel momento in cui scriviamo questo articolo, l’OMS riporta 48 vaccini contro SARS-CoV-2/Covid-19 in fase di sperimentazione clinica e 168 vaccini in fase di sperimentazione pre-clinica. Le strategie adottate sono state molto diversificate fra loro.

I “primi arrivati” sono stati i vaccini a mRNA, particolarmente interessanti in quanto innovativi (sarebbero i primi vaccini in assoluto di questo tipo ad essere approvati) in quanto due di loro, ovvero i vaccini della tedesca BioNTech/Pfizer e dell’americana Moderna (col supporto del NIAID/NIH) hanno completato la fase 3 annunciando ottimi dati di efficacia >90% e ovviamente, un ottimo profilo dal punto di vista della sicurezza.

Questi vaccini, che ad oggi sembrano essere i primi a contendersi l’immissione sul mercato – previa autorizzazione degli enti regolatori di cui sopra – sono basati sulla inoculazione di RNA messaggero (mRNA) incapsulato in minuscole particelle lipidiche e somministrato nel muscolo deltoide della spalla con due dosi a distanza variabile da due settimane a due mesi l’una dall’altra.

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Schema che illustra il ciclo replicativo di SARS-CoV-2

Il genoma di SARS-CoV-2 è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva (quindi in grado di essere subito tradotto in proteine) di grande taglia (3 volte la lunghezza del genoma di HIV).

Quando il virus infetta le cellule ospite, le sfrutta per dare origine a diverse proteine virali; dopodiché lascia la cellula e prosegue con una nuova infezione.

Tra le proteine virali prodotte è particolarmente importante per lo sviluppo di un vaccino la proteina Spike, la “falsa chiave” con cui il virus lega il recettore di superficie ACE2 ed infetta le cellule epiteliali, capace di generare la produzione di anticorpi neutralizzanti (cioè in grado di prevenire l’interazione della Spike col recettore ACE2 e quindi impedendo l’infezione).

 

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Poiché la proteina Spike è in grado di stimolare una robusta risposta immunitaria, non limitata alla produzione di anticorpi, i ricercatori hanno sviluppato un metodo per isolare frammenti selezionati di questo RNA virale, scegliendo solo “le parti” necessarie alla produzione di proteina Spike: in questo modo il nostro corpo produrrebbe solo quella, ma non tutte le altre proteine indispensabili al virus per la propria riproduzione.

In caso di esposizione al virus, il nostro sistema immunitario sarà quindi già equipaggiato per prevenire l’infezione, o, quantomeno, per prevenire l’evoluzione clinica dell’infezione a Covid-19.

Al riguardo, i due vaccini sono stati infatti testati per quest’ultimo obiettivo e non sappiamo ancora se abbiamo avuto effetto anche nel prevenire l’infezione.

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Schema illustrativo della vaccinazione con vaccini a RNA. L’RNA virale è incapsulato in minuscole particelle lipidiche (somiglianti alle membrane delle nostre cellule) al fine di proteggerlo dalla degradazione (motivo per cui il vaccino dev’essere conservato a bassissima temperatura, -70/-80 °C). Le nanoparticelle lipidiche contenenti il frammento di RNA che codifica per la proteina Spike di SARS-CoV-2 sono veicolate nelle cellule del soggetto ricevente, mediante iniezione nel muscolo deltoide. Nelle cellule dell’organismo, l’RNA del virus è tradotto nella proteina Spike. Questa viene riconosciuta dal sistema immunitario, generando una risposta protettiva. L’involucro lipidico e l’RNA virale verranno rapidamente degradati, senza causare effetti collaterali.

 

AstraZeneca e il vaccino con vettore virale

Ancora più recentemente si è aggiunta anche AstraZeneca, annunciando un vaccino – sviluppato in collaborazione con l’Università di Oxford, UK. Il vaccino si era già dimostrato capace di indurre risposte immunitarie robuste anche negli adulti più anziani, che sono tra le popolazioni più a rischio in seguito ad infezione da SARS-CoV-2.

Il principio di azione è simile, con la differenza che – anziché le nanoparticelle lipidiche – questo preparato utilizza un vettore adenovirale, vale a dire la versione indebolita di un comune virus del raffreddore che colpisce gli scimpanzé.

 

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Il vettore contiene il materiale genetico della proteina Spike di SARS-CoV-2: anche in questo caso, dopo la vaccinazione la proteina Spike attiverà il sistema immunitario affinché attacchi il Coronavirus in caso di contagio. Il vettore adenovirale è stato scelto per generare una forte risposta immunitaria già da una singola dose e non è replicante, per cui non può causare un’infezione nell’individuo vaccinato.

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Come ricordato sopra, è importante sottolineare che questi vaccini sono stati testati per proteggere le persone dallo sviluppo di Covid-19 (cioè dalla malattia conseguente all’infezione da SARS-CoV-2) e che servirà ancora tempo per sapere se siano anche in grado di proteggere dall’infezione virale.

 

Articolo scritto in collaborazione con il Gruppo di Patogenesi Virale e Biosicurezza dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Scritto da

Elisa Vicenzi e Guido Poli
Elisa Vicenzi e Guido Poli

Elisa Vicenzi e Guido Poli sono uniti nella vita e dalla passione per la ricerca scientifica iniziata, dopo le rispettive lauree in Farmacia (Vicenzi) e Medicina e Chirurgia (Poli) all’Università di Ferrara, prima all’Istituto per le ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano fino al 1986, poi al NIAID, NIH di Bethesda fino al 1993 dove Vicenzi si specializza nello studio della virologia molecolare di HIV, l’agente causale dell’AIDS, mentre Poli si concentra sul ruolo delle citochine nella regolazione della latenza e replicazione del virus. Rientrati in Italia, nel 1994 fondano l’Unità d’Immunopatogenesi dell’AIDS presso il neonato DIBIT dell’IRCCS San Raffaele di Milano; a seguito dell’epidemia di SARS (2003) Vicenzi si specializza in ricerca su virus emergenti ed è promossa Capo dell’Unità di ricerca “Patogeni Virali e Biosicurezza”. Nel 2021 l’Unità di ricerca viene ridefinita “Patogenesi virale e Biosicurezza” (Vicenzi) mentre Poli viene nominato Capo dell’Unità “H.I.V. – Immunovirologia Umana”. Al loro attivo hanno centinaia di pubblicazioni e due libri come Editori dedicati alle metodologie di ricerca su HIV (“Human Retroviruses. Methods and Protocols”, del 2013 e “HIV Reservoirs. Methods and Protocols”, 2022).

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