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Il Nobel “al femminile”: un passo per colmare il gender gap?

Cultura e società

Il Nobel “al femminile”: un passo per colmare il gender gap?

5 nov, 2020

Le donne possono lasciare un segno importante nella scienza ed è importante che lo sappiano le ragazze che vogliono lavorare nella ricerca. Spero che questo riconoscimento sia un messaggio positivo e che dimostri loro che le donne possono avere un impatto attraverso le ricerche che svolgono”.


Questo il messaggio alle ragazze di Emmanuelle Charpentier, la ricercatrice che si è equamente divisa con Jennifer A. Doudna uno dei premi più ambiti: il Nobel per la Chimica, per la scoperta e lo sviluppo di CRISPR/Cas9.

Che il Nobel sia stato conferito a due donne è purtroppo una rarità: dal 1901 ad oggi sono solo 58 le donne ad aver ricevuto il premio a fronte di 876 uomini, circa il 7% del totale. Al di là del Nobel, quella della disparità di genere è una tematica sempre più attuale che interessa numerosi settori e non risparmia praticamente nessuna nazione.

 

La disuguaglianza di genere

Per disuguaglianza di genere (o gender gap) si intende il divario esistente tra uomini e donne in molteplici ambiti; secondo l’ultimo Global Gender Gap Report del World Economic Forum, ovunque nel mondo le donne risultano ancora discriminate in termini di remunerazione economica, opportunità lavorative, accesso all’istruzione e alla cura.

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In ambito accademico è esemplare il cosiddetto “Effetto Matilda”, dal nome dell’attivista e scrittrice statunitense Matilda Joslyn Gage. Analizzando numerosi articoli pubblicati sulle riviste scientifiche, Margaret W. Rossiter ha osservato che i lavori realizzati da scienziate hanno avuto meno citazioni di analoghi lavori condotti dai colleghi uomini. Il genere dell'autore avrebbe quindi influito sulla diffusione del lavoro di ricerca. Questo aspetto è molto importante se si considera che, ad esempio, il numero di citazioni dei propri lavori è cruciale nei concorsi per accedere e progredire di livello nei ruoli universitari.

 

L’Interfaculty centre for gender studies di UniSR

Nel 2016 è stato inaugurato in UniSR l’Interfaculty centre for gender studies, un Centro interfacoltà con lo scopo di promuovere, sviluppare e coordinare gli studi e le ricerche di genere condotti in Ateneo. Tra le finalità del Centro, anche quella di indagare il fenomeno del gender gap e per comprendere che cosa esso eventualmente implichi e proporre dei modi per evitare questo bias.

Il Nobel di Doudna e Charpentier è un passo avanti verso l’eguaglianza di genere? Quali azioni si possono intraprendere per colmare tale divario?

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Sonia Levi, Ordinario in Biologia Applicata e membro del Consiglio Direttivo del Centro e con la Prof.ssa Valentina Di Mattei, Associato in Psicologia Clinica e membro del Comitato di Direzione del Centro; entrambe hanno risposto alle domande seguenti, ciascuna secondo la propria sensibilità ed esperienza personale e professionale. Una riflessione pacata e ragionata alla luce dei temi che il Centro esplora.

 

Cosa rappresenta questa vittoria in termini di uguaglianza di genere?

Sonia Levi: Sicuramente è una notizia positiva ma certo non cambia molto quella che è la realtà odierna, il divario è profondo e ci vorrà molto di più di un Nobel vinto da due donne per colmarlo.

Diciamo che questa volta non ci sono stati condizionamenti ed il premio è andato a chi se lo meritava, speriamo che questa sia la logica che continui a prevalere in futuro.

 

Il Centro Gender UniSR ha la finalità di promuovere, sviluppare e coordinare gli studi e le ricerche di genere condotti all’interno dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Scopri di più sul Centro

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Valentina Di Mattei: Questo riconoscimento ci offre l’opportunità di affrontare un tema tanto noto quanto sottovalutato. Si è assistito solo negli ultimi anni a una presa di coscienza in merito ma spesso corre il rischio di essere confinata a un dibattito astratto che trova sulla carta tutti d’accordo.

Il difficile può presentarsi quando si cerca di tradurre concretamente le intenzioni in uguali opportunità, di sfidare abitudini ed atteggiamenti consolidati anche nei luoghi che più dovrebbero fare da ‘apripista’: istituzioni culturali e scientifiche, ospedali, consigli di amministrazione. Nella quotidianità, alle parole non sempre seguono con adeguata coerenza i fatti.

Per questo abbiamo ancora bisogno di ‘eroine’: donne che divengono simbolo ed emblema di un processo che si fermerà solo quando non ce ne sarà più bisogno.

Pare paradossale ma cresce sempre più la necessità di donne astronaute, madri campionesse olimpiche, primarie di reparti ospedalieri, presidi di Facoltà e, appunto, scienziate di vertice.

Dunque questo Nobel torna a parlarci di una sfida ancora particolarmente difficile da ‘vincere’ come donne ed è bene cogliere ogni occasione utile per aprire una riflessione costruttiva in merito. L’uguaglianza di genere è lontana sia ai piani alti del tessuto sociale, che riguardano statisticamente ‘poche’, ma anche negli altri strati, ancor meno visibili. Un Nobel a una donna può avere quindi ricadute positive per tutte.

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Nella storia dei Premi Nobel, appena il 7% dei vincitori sono donne. Come leggere questo dato?

S.L.: A parer mio ci sono diversi fattori che incidono su questo dato:

  1. la discriminazione verso il genere femminile da parte di chi prende le decisioni. Diversi sono gli esempi di discriminazione in passato riguardo ai Nobel assegnati (es. Rosalind Franklin, Jocelyn Bell-Burnell...);
  2. limitate possibilità di carriera delle donne;
  3. limitate fonti di finanziamento per le donne;
  4. il minor interesse che le donne hanno a mettersi in mostra o a primeggiare.

 Le motivazioni sono varie, non tutto dipende solo dagli uomini: occorrerà lavorare molto per cambiare questi fattori negativi.

V.D.M.: A livello storico, dalla prima assegnazione, solo 58 donne hanno ricevuto il Nobel e tra queste solo 24 in discipline scientifiche. Gli uomini sono stati premiati quasi 21 volte di più.

Tra i fattori che contribuiscono a questa discrepanza di genere nell’assegnazione dei premi Nobel troviamo una minore percentuale di donne che lavorano nell’area STEM (Science, Technology, Engineering and Math), aspetto associabile a sua volta ad alcuni elementi messi in luce nell’analisi del fenomeno: mancanza di modelli di ruolo femminili, stereotipi di genere e minore flessibilità familiare a favore delle donne.

Sven Lidin, presidente del Comitato del Nobel per la Chimica, nel 2016 si esprime a riguardo commentando questo numero come “inopportunamente basso” ma logico dal suo punto di vista se si considera che per verificare e riconoscere gli effetti reali di un fenomeno è necessario del tempo.

Secondo questa analisi, vedremmo ora l’esito di cambiamenti cominciati due o tra decadi fa. Se consideriamo gli ultimi dieci anni, in effetti, il numero di donne premiate sta decisamente aumentando, arrivando per l’appunto all’eccezionale assegnazione per la chimica nel 2020 a due donne: Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna. Il trend osservabile in questi ultimi anni sembra dunque solo un’anticipazione di una tendenza verso l’uguaglianza di genere, con la ragionevole speranza che vada sempre più affermandosi.

 

Non solo Nobel: in molti altri riconoscimenti i vincitori sono principalmente uomini.

Quali azioni si possono intraprendere per colmare tale divario di genere?

S.L.: Sicuramente occorre agire sui condizionamenti che la società impone e cercare di cambiare l'impostazione culturale che ancora esiste per cui una donna deve occuparsi dei figli e non del lavoro. Questo cambiamento culturale deve essere attuato nelle scuole di ogni ordine e grado, in modo che sia acquisito da piccoli e possa poi maturare nei soggetti adulti, senza che sia vissuto dalle donne come una colpa. Qualcosa sta lentamente cambiando, è vero, ma ci vorrà ancora molto tempo prima di raggiungere questo obiettivo.

Per questo è fondamentale cercare di incoraggiare soprattutto le giovani studentesse allo studio della scienza in ogni suo ambito, in modo da sfatare il preconcetto che “non è per loro” e che “non ce la possono fare”, come mi sono sentita dire spesso da molte giovani donne.

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V.D.M.: È importante operare innanzitutto sul piano preventivo, educativo e di sensibilizzazione per ridurre gli stereotipi di genere. Gli stereotipi o bias cognitivi prescindono dall’esperienza diretta, ma si costruiscono attribuendo delle caratteristiche ad un singolo o ad un gruppo.

Ogni stereotipo è facilmente trasmesso e facilmente appreso, per questa ragione è importante trasmettere i giusti messaggi affinché la società possa promuovere il rispetto reciproco, l’inclusione e la valorizzazione delle diversità.

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È fondamentale quindi agire attraverso la comunicazione e la sensibilizzazione, anche in ambito scolastico e familiare, così da poter operare negli ambienti in cui si assimilano e si interiorizzano norme e valori, per promuovere dall’infanzia la cultura della parità di genere al fine di arginare e in futuro eradicare stereotipi e pregiudizi.

Per fare questo esistono percorsi di educazione di genere in ambito scolastico ma anche corsi universitari come quelli che il nostro Centro Gender propone all’interno dell’Ateneo. Dal punto di vista lavorativo bisogna invece operare in termini di percorsi protetti e riservati per l’accesso, l’integrazione e l’assunzione di ruoli dirigenziali delle donne, soprattutto nel mondo scientifico.

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