Il Professor Eric Rubin, Editor-in-Chief del New England Journal of Medicine (NEJM), si è recato in visita presso l’Università Vita-Salute San Raffaele per un incontro che ha superato i confini delle metriche editoriali e dei flussi di lavoro redazionali. Invitato da un gruppo di studenti del Corso di Laurea in Medicina, con il supporto di docenti e staff dell’Ateneo, Rubin ha descritto l’esperienza come un onore particolare: un’opportunità per dialogare direttamente con coloro che presto plasmeranno il futuro della medicina.
«Non c’è nulla di meglio che essere invitati dagli studenti», ha affermato. «Sono curiosi, coinvolti—e usano il Journal come strumento per imparare. Mi piace molto vedere questo approccio.»
La lecture di Rubin si è incentrata su come il NEJM seleziona e modella le ricerche da pubblicare—ma il dibattito si è rapidamente spostato su come la scienza si traduce in cura. Ha sottolineato l’importanza, spesso trascurata, degli studi che non mostrano effetti significativi.

«Gli studi che non mostrano differenze o che producono risultati negativi sono importanti quanto quelli con esiti positivi», ha spiegato Rubin. «Mettono in discussione pratiche consolidate, evitano l’uso non necessario di interventi inefficaci e contribuiscono, in ultima analisi, a una cura migliore, basata sull’evidenza.»
Questa enfasi sul valore dei risultati negativi e sull’integrità dei dati ha trovato un chiaro riscontro nelle riflessioni della leadership accademica. Il Prof. Gianvito Martino, Prorettore alla Terza Missione dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore Scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha sottolineato come la pubblicazione scientifica non debba mai essere giudicata esclusivamente dal prestigio della rivista. Alla base di ogni ricerca di valore ci sono dati solidi e riproducibili. Le riviste sono il mezzo—non la misura—di tale qualità. «Produrre buona scienza», ha ribadito, «e saranno le buone riviste a seguirla.»
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Ripensare il "successo" in Medicina
Rubin ha affrontato anche una delle pressioni più sentite dagli studenti di medicina: la paura che il successo sia misurato solo attraverso pubblicazioni su riviste ad alto impatto. Sebbene il New England Journal of Medicine goda di un enorme prestigio, Rubin ha esortato gli studenti a non confondere questo con il proprio valore come futuri medici o ricercatori.
«Molti considerano la pubblicazione sul NEJM come l’apice di una carriera medica. Ma non è così. La cosa più importante che si possa fare in medicina è fare la differenza. Se questo significa pubblicare sulla rivista, benissimo. Ma se significa cambiare la vita anche solo a un paziente, è altrettanto importante.»
Questa visione ha trovato profonda risonanza nel campus di ricerca del San Raffaele. Membri della faculty con una solida esperienza editoriale – tra cui i professori Landoni, Aiuti e Bernardo, tutti autori di articoli pubblicati sul NEJM – hanno fatto eco a questo messaggio. Il Prof. Landoni ha recentemente pubblicato il suo ultimo articolo proprio sul NEJM, a ulteriore conferma del forte legame tra l’Università e la rivista. I docenti hanno descritto la visita di Rubin come un incontro raro e toccante: «Un uomo di immensa conoscenza, e al tempo stesso incredibilmente umile». La sua disponibilità e il suo approccio accessibile hanno lasciato un’impressione duratura su studenti e colleghi.
Riflettendo sul ruolo del prestigio nella scienza, questi professori hanno ribadito che il vero segno distintivo di una ricerca d’impatto è il rigore. Che un articolo venga pubblicato su una rivista di altissimo profilo o su una più piccola, ciò che conta è la solidità del metodo, la riproducibilità dei risultati e la qualità del pensiero alla base dei dati. L’impatto non è dettato solo da metriche: si misura in come la ricerca cambia la pratica clinica, influenza le politiche sanitarie o apre nuove strade di indagine.
«Ciò che conta davvero», hanno sottolineato, «è sapere lavorare con serietà e metodo. Il prestigio può arrivare, ma prima viene il lavoro—che non dovrebbe mai essere valutato solo in base alla rivista in cui viene pubblicato. Molte scoperte premiate con il Nobel sono apparse su buone riviste, non necessariamente su quelle più quotate. L’impatto si manifesta in molte forme.»
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In piedi (da sinistra a destra): Prof.ssa Antonella Castagna, Dott. Rosario Losiggio, Prof. Alessandro Aiuti, Mattia Casadei, Alessandro Aresu, Prof. Eric Rubin, Paolo Pallavicini, Prof. Giacomo Monti, Consigliere Delegato di UniSR Dott.ssa Anna Flavia d'Amelio Einaudi, Prof.ssa Sonia Levi, Dott. Roberto Buccione, Francesco Costa. In prima fila (da sinistra a destra): Prof.ssa Maria Ester Bernardo, Prof. Giovanni Landoni.
Ambizione e futuro della ricerca clinica
Guardando al futuro, Rubin ha posto l’attenzione su settori in rapida evoluzione come l’oncologia e la cardiologia—ambiti oggi trainati da farmaci innovativi e trial su larga scala. Ma ha anche sfidato la prossima generazione di ricercatori a puntare più in alto del semplice progresso incrementale, specialmente in quelle aree meno studiate dove c’è maggiore bisogno di innovazione.
«Vorrei vedere vera innovazione nei settori in cui si è fatto meno progresso. Non tutto dev’essere per forza un piccolo passo. La maggior parte dei tentativi audaci fallirà—ma quell’ambizione è importante.»
Il suo invito a una scienza più coraggiosa arriva in un momento in cui la ricerca globale affronta sfide complesse. Come spiega il Dott. Roberto Buccione, Responsabile della Direzione Research Development UniSR, pressioni politiche e istituzionali possono talvolta complicare il percorso verso una medicina davvero basata sull’evidenza. Sebbene istituzioni europee come il San Raffaele continuino a promuovere una ricerca rigorosa e indipendente, in altri contesti fattori esterni—come le scelte di finanziamento o l’interferenza delle politiche sanitarie—possono influenzare le priorità scientifiche e la comunicazione dei risultati.
«La responsabilità di tutelare la scienza—afferma Buccione—non ricade solo sulle riviste. È anche compito di ricercatori, clinici ed educatori: devono non solo produrre evidenze, ma anche comunicarle in modo chiaro, accurato e indipendente.»