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Alla Ricerca: il Bosone di Higgs, l’Universo, le radici e il futuro dell’Umanità. Guido Tonelli racconta

Cultura e società

27 mar, 2025

“Le grandi questioni che la fisica affronta sono dentro ciascuno di noi, […] quella curiosità primordiale brucia ancora nell’animo di ognuno”.

Genesi. Il grande racconto delle origini”, prologo, Guido Tonelli

La Natura, il Cielo, le Stelle. Fin dai tempi dei Neanderthal che popolavano l’Europa 40.000 anni fa, l’Umanità si è sempre confrontata con una domanda ancestrale: "Qual è l’origine di tutto questo?". Un interrogativo che resiste al tempo, sfidando le menti più brillanti del nostro secolo e alimentando il fuoco di una Ricerca che trascende il tempo, avvicinandoci alle radici più primitive e fondamentali della nostra esistenza.

È questo il “Racconto delle Origini”, un affascinante viaggio nel mistero dell’esistenza che abbiamo intrapreso durante il San Raffaele Scientific Retreat 2025 accompagnati da Guido Tonelli, fisico del CERN di Ginevra e professore ordinario di Fisica Generale all’Università di Pisa.

In questo contesto, abbiamo avuto il privilegio di dialogare con il prof. Tonelli su numerosi temi: la sua vita dedicata alla Ricerca, il bosone di Higgs, le nostre radici, il futuro della nostra Società.

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Photo credit: Gioele Giombato

La scoperta del bosone di Higgs: una nuova visione dell’Universo e una riscoperta fragilità

Prof. Tonelli, lei ha guidato l'esperimento CMS al CERN di Ginevra che ha portato alla scoperta del Bosone di Higgs nel 2011 e all'assegnazione del Nobel per la Fisica a Peter Higgs e François Englert nel 2013. Qual è stato il momento più emozionante che ha segnato questa scoperta?

Tutti ricorderanno il 4 luglio 2012, il giorno dell’annuncio ufficiale, ma noi che l'abbiamo vissuto ricordiamo con trepidazione soprattutto i mesi precedenti, quando siamo stati travolti da un'altalena di emozioni. Un giorno eravamo sicuri che il segnale della nuova particella fosse davvero davanti ai nostri occhi, il giorno successivo tutto sembrava svanito. È la parte più bella di ogni scoperta scientifica: da un lato vorresti rompere gli indugi e dire “Ce l’abbiamo fatta”, dall'altro hai il terrore che sia un falso allarme. Questo miscuglio di emozioni, di momenti di entusiasmo alternati a periodi di paura o di depressione è un’esperienza indimenticabile.

Ho lavorato all’esperimento per più di vent’anni e ricordo perfettamente il giorno in cui ho avuto la certezza che fosse proprio lui, il bosone di Higgs. Lo ricordo bene perché era il giorno del mio compleanno, l'8 novembre 2011. Quel giorno due gruppi di ricercatori mi segnalarono separatamente, a distanza di poche ore, lo stesso eccesso di eventi a 125 GeV [Giga elettronVolt. L'elettronVolt (eV) è un'unità di misura dell'energia molto utilizzata in fisica nucleare e delle particelle, N.d.R.], nell’intervallo di massa più interessante per l’osservazione il bosone di Higgs.

Con la cautela di cui parlavo prima, ho detto a quei ragazzi e a quelle ragazze: “Ora dovete fare di tutto per uccidere questo segnale”. In quel momento gli occhi di tutti brillavano. Tutti sapevamo, che se non fossimo riusciti a far sparire dai dati quello strano segnale, avremmo dovuto annunciare al mondo la nuova scoperta, come in effetti è avvenuto.

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Photo credit: Gioele Giombato

Come mai la scoperta del bosone di Higgs è stata così importante?

Oggi, a più di dieci anni di distanza, abbiamo compreso meglio la straordinaria importanza di quella scoperta. Ha cambiato radicalmente la nostra visione del mondo. Per migliaia di anni scienziati e uomini comuni hanno considerato la massa come una proprietà intrinseca della materia. Oggi sappiamo che la massa nasce dinamicamente da un'interazione. Nessuna particella nasce dotata di una massa. Diventa massiccia o rimane leggera a seconda dell'interazione con un campo che occupa l’intero universo. Il campo di Higgs è qualcosa di intangibile, di invisibile, la cui presenza era sfuggita a Galilei, a Newton, a Einstein, ai più grandi scienziati di tutte le epoche. Protoni, neutroni ed elettroni, i costituenti di base di qualunque oggetto materiale, dagli esseri umani alle galassie, si aggregano fra loro a formare nuclei e atomi grazie al meccanismo di interazione delle particelle elementari con il campo di Higgs.

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La costruzione di ogni struttura materiale ha incorporato un'intrinseca fragilità: se il campo di Higgs cambiasse lievemente le sue caratteristiche o addirittura svanisse, non si potrebbe avere materia aggregata e l'intero universo si dissolverebbe. Abbiamo scoperto come ha fatto il nostro universo ad acquistare una forma materiale persistente. È grazie a questo meccanismo che ha potuto attraversare un’evoluzione lunga quasi 14 miliardi di anni. Senza il bosone di Higgs non avremmo avuto nuclei di idrogeno, polveri, stelle, galassie e pianeti, e così via fino a noi. Tutto quanto ci circonda, persino noi stessi, tutto ha una struttura intima, che nasce da questo meccanismo potente e fragile allo stesso tempo.

Per millenni abbiamo guardato i grandi fiumi e le montagne, la Luna e il Sole come elementi quasi eterni. Non a caso i nostri antenati li hanno divinizzati. Gli scienziati del XXI secolo ci dicono, invece, che anche un granello di sabbia è qualcosa di rarissimo e prezioso. La materia ordinaria costituisce solo il 5% dell’intero universo. All’interno di questa frazione già piccola, la parte organizzata in atomi e molecole non arriva all’1%. Ed è intrinsecamente fragile. Se il campo di Higgs cambiasse le sue caratteristiche, tutte le forme materiali organizzate si disgregherebbero. Forse dovremmo cominciare ad aver cura non solo di noi stessi e delle forme viventi che popolano, assieme a noi, il nostro pianeta. Forse bisognerà guardare con occhi diversi a tutte le forme materiali, comprese quelle, apparentemente, più umili e insignificanti.

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Leggendo alcuni passaggi del suo libro “Genesi. Il grande racconto delle origini”, di fronte alla fragilità e alla bellezza dell’universo ci si sente invitati a cambiare prospettiva.

Ogni volta che guardiamo al mondo fuori di noi con occhi diversi, come è già accaduto più volte nel passato, anche le nostre società cambiano. Quando adottiamo uno sguardo diverso sulla materia e sull’universo, cambia il rapporto con noi stessi e si modificano le nostre relazioni. Non penso, ovviamente, che questo accadrà nei prossimi mesi. Ci vorranno sicuramente molti anni, forse parecchi decenni, ma questa nuova visione dell’universo segnerà il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.

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La Ricerca al CERN: la ricchezza della collaborazione e dello scambio

Parlando di relazioni, al CERN collaborano migliaia di ricercatori provenienti da oltre 100 nazioni diverse, con background professionali che spaziano dalla fisica all'ingegneria, dall'informatica ad altre discipline tecniche e scientifiche. In che modo questa diversità culturale e professionale contribuisce ad arricchire l'approccio alla ricerca e a favorire l'innovazione scientifica?

Per noi, collaborare è una necessità. Nel campo della ricerca di base, se non si utilizza questo approccio si fallisce. Non c'è nessuna nazione al mondo, neanche la più ricca, la più potente, la più avanzata, che da sola riuscirebbe ad affrontare queste sfide. Nelle grandi collaborazioni scientifiche internazionali si sfruttano le potenzialità del lavoro coerente: quando migliaia di persone riescono a lavorare in maniera coordinata si possono produrre risultati incredibili. Nel lavoro di collaborazione c'è un elemento di potenziamento che nasce dalle interazioni e dalla velocità degli scambi.

Nessuno è in grado, da solo, di indagare i fenomeni naturali più elusivi e complessi. Per questo è necessario coinvolgere tutte le menti migliori del pianeta. Fortunatamente, l’intelligenza nel mondo è distribuita un po’ ovunque, segue una distribuzione democratica, non fiorisce soltanto nei paesi più ricchi e avanzati. La ragazza o il ragazzo destinati a rivoluzionare la scienza moderna potrebbero nascere a Calcutta o al Cairo, a Pechino o a Rio de Janeiro. Quello che dobbiamo fare è creare le condizioni affinché, se questo accade, il nuovo Einstein o la nuova Marie Curie trovino la strada per affermarsi e per brillare.

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Photo credit: Gioele Giombato

La collaborazione CMS, che ha costruito e ora gestisce il grande rivelatore, è formata da circa 5500 persone (tra le quali fisici, ingegneri, informatici...), che rappresentano 241 istituti scientifici distribuiti in 54 nazioni. Come si fa ad avere la visione d’insieme in esperimenti così articolati e complessi?

Il nostro lavoro è cercare di risolvere questioni per le quali nessuno ha ancora trovato una risposta. Per fare questo è necessario imboccare strade nuove, non ancora battute, inventarsi nuovi strumenti, sviluppare nuove teorie. Nel nostro lavoro è essenziale essere un po’ ribelli. Nei progetti del CERN vige una gerarchia, ma è molto diversa da quella alla quale siamo abituati. Gli scienziati sono una comunità anarchica, che non obbedisce a comando, se non è convinta.

Per questo il responsabile dell’esperimento non viene nominato dall’alto, ma viene scelto da tutti, con una elezione diretta, nella quale il voto del dottorando più giovane e quello del più grande professore hanno lo stesso peso. E ogni incarico di responsabilità è a tempo. Si viene eletti per due o per quattro anni e poi si passa la mano. Siamo un po’ come una grande orchestra sinfonica, nella quale gli strumentisti eleggono il direttore e lo seguono perché a lui viene riconosciuta un’autorità, perché c’è stima e fiducia reciproca.

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Photo credit: Gioele Giombato

La divulgazione: condivisione e restituzione verso la comunità

Oltre a essere un grande scienziato, lei è anche un comunicatore e divulgatore molto apprezzato: che cosa l'ha spinta a dedicarsi alla divulgazione?

Ho cominciato a scrivere libri piuttosto tardi, una decina di anni fa, e un po’ per caso. Un amico giornalista mi ha spinto a pubblicare quello che raccontavo al pubblico che veniva ad ascoltare le mie conferenze. Quando è uscito il mio primo volume, La nascita imperfetta delle cose, dedicato alla scoperta del bosone di Higgs, ho capito che il libro crea una relazione speciale con i lettori. Ho cominciato a ricevere mail, o lettere cartacee, di lettori di ogni genere: imprenditori di successo o suore di clausura, bambini di undici anni o anziani che hanno superato i novanta. Molti mi raccontano la loro vita, alcuni mi fanno domande sulle questioni più curiose, tutti mi mostrano riconoscenza e affetto, perché attraverso i miei libri hanno capito cose che non avrebbero mai immaginato di riuscire a comprendere.

Non amo particolarmente il verbo divulgare, preferisco dire condividere. Voglio condividere con la mia comunità la bellezza dei concetti sviluppati dalla scienza contemporanea. Quella scientifica è una visione del mondo veramente affascinante, per tutti, non solo per gli addetti ai lavori. Inoltre, la scienza segna profondamente le nostre società e più si è consapevoli di quello che si agita in campo scientifico, più si è preparati a capire in quale direzione si trasformerà la società. Lo sento quasi come un dovere civile, una forma di restituzione alla società che mi ha formato e un piccolo regalo alla comunità dei giovani lettori; qualcosa che permetterà loro di affrontare il futuro con strumenti di conoscenza più profondi.

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Photo credit: Gioele Giombato

Come possiamo promuovere una maggiore fiducia nella Scienza, soprattutto in un'epoca in cui il negazionismo scientifico e le fake news dilagano?

Non bisogna costruire barriere, rispondere con intolleranza o, peggio ancora, con aggressività. Penso che l’atteggiamento giusto sia ascoltare e avere pazienza. Non bisogna stancarsi di spiegare o di ripetere gli argomenti, ma occorre anche sforzarsi di capire le paure dell’altro e rassicurare, consolare: “Io, scienziato, ti ascolto e in alcuni casi forse ti convinco. In altri casi non riuscirò a farlo, ma sono comunque qui, vicino a te”.

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Secondo lei come dialogano la fisica e la filosofia?

Penso che fra le due discipline vi sia un terreno fertile di incontro e di scambio. Le domande che si pone la fisica contemporanea somigliano molto alle grandi questioni filosofiche, basta pensare alla cosmologia, l'origine del mondo.

Ma la scienza non può rispondere a questioni altrettanto rilevanti: che senso ha la nostra esistenza? cosa è giusto e cosa è sbagliato fare? come si organizza una società che vorrebbe ridurre le ingiustizie? quali leggi consentono alla comunità umana di lenire le sofferenze dei più fragili? e così via. Per dare risposta a queste domande sarebbe necessaria un'interazione permanente fra scienziati e filosofi, teologi ed artisti, storici e umanisti. La scienza contemporanea può sviluppare enormi potenzialità, ma, lasciata a sé stessa, potrebbe farci correre anche grandi rischi. Paradossalmente, dalla scienza potrebbe scaturire il peggiore dei mondi possibili, oppure un'umanità più consapevole, che cura le ferite del pianeta in cui viviamo, che consola gli umani e ne riduce le sofferenze. Solo con la conoscenza e la consapevolezza di tutti gli errori che l'umanità ha fatto nel passato, con il contributo cioè di storici e filosofi, artisti e umanisti gli scienziati possono costruire, assieme a tutti gli altri, un vero progresso.

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Quale consiglio darebbe a un/a giovane del 2025?

Il consiglio è di non aver paura di sbagliare. Se dentro di voi avete una passione, seguitela senza remore. Se non avete chiaro in quale direzione andare, accettate anche di imboccare una strada che non vi convince troppo, sapendo che potrebbe non essere quella giusta. Appena vi accorgerete che la cosa non fa per voi, cambiate subito direzione. Scoprirete che non succederà nulla di grave. Anche se avrete perso del tempo, se sarete fortemente motivati, potrete recuperare. È importante ricordarsi sempre che la vita è la vostra e che tra dieci anni potreste pentirvi di non aver spinto a fondo l'acceleratore quando era il momento di farlo.

 

Intervista a cura di Giulia Moretti

Scritto da

Team Comunicazione UniSR
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