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Essere atleti della ricerca: due parole con il Professor Renato Ostuni

Curiosiscienza

6 mag, 2025

Domenica 11 maggio, Renato Ostuni, professore associato di Istologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Group Leader presso l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), ha raccontato i benefici dello sport sulla salute del sistema immunitario in occasione dell’Italian Outdoor Fest, il nuovo festival dedicato al mondo Outdoor. Oltre a guidare un gruppo di ricerca dedito a studiare il funzionamento del sistema immunitario nei tumori e nelle malattie genetiche, il Professor Ostuni è atleta di ultra-running e appassionato sportivo. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come si conciliano impegno nella ricerca e passione per lo sport, e in che modo l’uno beneficia dell’altra.

Professor Ostuni, lei è ricercatore e atleta: da quanto pratica sport?

Faccio sport da sempre. Da ragazzo giocavo a calcio – ma come portiere, perché odiavo correre (!), poi ho maturato una passione per gli sport di endurance e le attività “faticose” come l’alpinismo. Proprio durante un trekking in montagna, ho incontrato dei ragazzi che sfrecciavano correndo sui sentieri e mi sono incuriosito: io correvo in città, non immaginavo fosse possibile farlo in montagna. Lì è nata la mia passione per il trail running. Ricordo benissimo le prime uscite con gli amici sulle montagne vicino Milano, la decisione di seguire allenamenti più strutturati, le prime gare su distanze corte… e quasi senza rendermene conto mi sono ritrovato al traguardo di competizioni estreme come l’Eiger Ultra Trail, una gara di 250 km con circa 15000 metri di dislivello!

Quali sono i punti di contatto tra la ricerca e lo sport?

Credo che entrambe le attività siano guidate dallo spirito di esplorazione: uno scienziato esplora la natura per trovare nuove terapie e migliorare la qualità della vita umana, uno sportivo esplora sé stesso per conoscere e superare i propri limiti. Inoltre, sia la ricerca che lo sport sono attività infinite. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire! Per questo, in entrambe le attività la cosa principale è il percorso con cui ci si avvicina a un obiettivo finale che spesso è (o sembra) irraggiungibile. La ricerca più interessante è quella che si pone ambiziosi, per raggiungere i quali bisogna procedere verso l’ignoto con fiducia, passione e costanza; senza cercare scorciatoie, ma esplorando variazioni di percorso (che spesso, tra l’altro, conducono a scoperte eccezionali) per superare gli ostacoli. Lo stesso vale per lo sport: l’obiettivo più lontano e “impossibile” è quello che ti motiva di più ad allenarti e dare il massimo.

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Cosa le hanno insegnato lo sport e la ricerca?

Né la ricerca né lo sport si fanno in solitaria, e i migliori risultati si ottengono tramite il lavoro di squadra, la collaborazione e l’aiuto reciproco. Poiché la ricerca biomedica moderna è estremamente complessa e interdisciplinare, un laboratorio esprime il suo massimo potenziale quando crea sinergie tra persone con competenze e punti di vista personali differenti. Allo stesso modo, i risultati sportivi – anche quelli individuali – sono sempre il frutto di un lavoro di squadra: allenatori, compagni di allenamento, amici, famiglia… L’altro grande insegnamento è che, sia nella ricerca che nello sport, ogni tanto bisogna fermarsi e prendere fiato. Perché l’allenamento sia efficace, è necessario alternare lavoro e riposo per dare modo al corpo di ricaricarsi ed evitare infortuni (parlo ahimè per esperienza personale). Allo stesso modo, nella ricerca è certo essenziale fare esperimenti e produrre dati, ma altrettanto importante è ritagliarsi del tempo per leggere, studiare e ragionare con calma. La ricerca è per me il lavoro più bello del mondo, ma questa passione può diventare totalizzante. Per questo motivo è fondamentale avere una valvola di sfogo e dedicare parte del proprio tempo ad attività che ci facciano stare bene. Nel mio caso è la corsa.

Quali sono i traguardi che hai già raggiunto sia in ricerca che nello sport e di cui è orgoglioso?

Per un ricercatore, il traguardo più importante è sempre la prossima scoperta! Ancora più che di uno specifico risultato scientifico, sono quindi orgoglioso di aver costruito un laboratorio con una sua struttura e identità, avendo contribuito alla crescita di brillanti scienziate e scienziati che guidano i progetti in direzioni che io non avrei immaginato. In questo momento, ad esempio, alcuni dei nostri studi più promettenti sono nati dalle idee di studenti e giovani ricercatori di talento. Anche in questo caso, non è tanto il risultato a contare, quanto il processo. Dal punto di vista sportivo, invece, il traguardo che più mi ha emozionato è stata la mia prima gara di 100 km, a Tenerife: non è stata la gara più lunga che abbia fatto, però conserva una forte carica emotiva per via di quel numero simbolico e dei momenti di grande difficoltà che ho affrontato e superato per arrivare al traguardo.

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Domenica scorsa ha partecipato all’ Italian Outdoor Fest. Cosa ha significato questo evento per lei?

Ho una profonda passione per la comunicazione scientifica, che rappresenta una delle missioni fondamentali della nostra Università insieme alla didattica e alla ricerca. Mi piace portare la scienza fuori dal laboratorio, raccontare le nostre scoperte, le promesse e le sfide della ricerca. Averlo fatto all’interno di una comunità a me cara come quella dell’Italian Outdoor Festival è stato davvero speciale, anche perché ho condiviso il palco con due amici: Filippo Canetta, pioniere dell’ultra-running in Italia che ha corso le gare più importanti ed estreme del mondo (ultima delle quali la Marathon Des Sables, 250 km a tappe nel deserto del Sahara) e Dylan Liabeuf, scienziato-atleta che proprio in questa occasione concludeva un suo progetto di comunicazione scientifica (la Berlin-Barcelona Initiative, un viaggio in bicicletta attraverso l’Europa per intervistare scienziati e sportivi di livello internazionale). Questo evento è stato poi per me l’occasione per approfondire un argomento che volevo affrontare da tempo: l’interazione tra attività fisica e il sistema immunitario.

Il suo intervento trattava degli effetti dello sport sul sistema immunitario. Cosa si conosce in questo ambito, e quali sono gli sviluppi della ricerca?

Ci sono numerose evidenze scientifiche che indicano lo stile di vita sedentario come uno di quei fattori ambientali (come la dieta non bilanciata, il fumo, l’inquinamento ambientale) che favoriscono uno stato di infiammazione cronica associato a maggiore probabilità di sviluppare tumori o patologie cardiovascolari. In questo contesto, è stato dimostrato che l’attività fisica, moderata e regolare, contribuisca a controbilanciare questi processi patologici anche attraverso la sua azione benefica sul sistema immunitario. La ricerca sta inoltre tentando di capire se e come sia possibile usare l’esercizio fisico come coadiuvante per massimizzare l’efficacia di farmaci e immunoterapie per il trattamento dei tumori. Siamo ancora agli albori di questo campo di studi, che ritengo estremamente interessante e promettente. Non nego che mi piacerebbe molto studiare da un punto di vista scientifico, applicando le nostre conoscenze, competenze e know-how tecnologico per definire il rapporto tra attività fisica e sistema immunitario, di cui ancora si sa molto poco. Credo che proprio questo sia l’aspetto più bello del lavoro dello scienziato: andare a cercare quelle sfaccettature della natura ancora non si conoscono.

Quale consiglio darebbe a un giovane studente che vuole diventare ricercatore, atleta o entrambi?

Di impegnarsi al massimo nello studio, con passione e fiducia, ponendosi obiettivi ambiziosi (forse impossibili), e di godersi il viaggio! Credo sia poi fondamentale ritagliarsi uno spazio per sé stessi in cui coltivare le proprie passioni e i propri interessi. Nello studio o nel lavoro, siamo alla ricerca di una performance costante ma spesso tralasciamo il recupero. L’atleta invece si allena, riposa e con il tempo migliora fino a raggiungere i massimi risultati. Ecco, ai giovani studenti direi: siate atleti della ricerca.

Scritto da

Team Comunicazione UniSR
Team Comunicazione UniSR

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