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La memoria: individuale e collettiva

Cultura e società

La memoria: individuale e collettiva

26 gen, 2024

In un passo famoso delle Confessioni, Agostino sostiene che non vi sono, propriamente, tre tempi, passato, presente e futuro; il tempo è essenzialmente nell’anima, in cui le cose sono in vario modo presenti. Quello che chiamiamo presente è la percezione immediata delle cose, il futuro è presenza anticipata delle cose che verranno, il passato è presenza all’anima a quelle passate: la memoria, perciò, è “il presente del passato” [1].

Rendere presente all’anima ciò che è stato sembra pertanto un fatto strettamente individuale. A tal punto che John Locke, molti secoli dopo, collegherà alla memoria la stessa identità personale, osservando che l’identità di una persona giunge fin dove la consapevolezza di sé “può essere riportata indietro a una qualsiasi azione o pensiero del passato” [2]. Solo di ciò che è stato presente alla mia coscienza posso fare memoria, dato che quest’ultima è il potere della mente di “ravvivare le percezioni che una volta ha avuto” [3].

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Se è così, ha senso parlare di memoria collettiva? Eppure, proprio di questo parliamo quando celebriamo la Giornata della Memoria: dell’esigenza che, dei fatti terribili della Shoah, vi sia una consapevolezza diffusa a livello mondiale. Certamente non esiste alcuna “coscienza collettiva” che possa essere il soggetto di tale memoria; tuttavia, se guardiamo a come di fatto si produce la memoria, l’idea di una memoria collettiva appare più che sensata, e per certi versi necessaria [4].

Sappiamo, infatti, che la memoria non è un cassetto in cui riponiamo le immagini degli eventi passati, le quali potrebbero essere “tirate fuori” come vecchie fotografie quando ne evochiamo il ricordo. Ogni ricordo è invece una ricostruzione che la nostra mente opera a partire dai frammenti in cui l’impressione dell’evento è stato scomposta nel nostro cervello; in questo processo possono insinuarsi elementi distorcenti che contaminano il ricordo di un certo evento con quello di altri eventi e portano, in perfetta buona coscienza, a costruire “falsi ricordi”.

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I nostri ricordi vanno spesso integrati o corretti e questo è necessariamente un processo sociale; come osserva Paul Ricoeur, “non ci si ricorda da soli, ma con l’aiuto dei ricordi altrui” [5]. D’altronde, l’elaborazione del ricordo richiede che venga espresso nel linguaggio, ossia collocato in un possibile racconto offerto ad altri. Soprattutto in rapporto a eventi storici di grande portata e di enorme rilevanza collettiva, c’è quindi un rapporto necessario tra la memoria individuale di singoli episodi e il racconto dei molti altri che consentono di collocarli in un quadro più ampio, integrandoli e correggendoli.

In questo modo, la memoria diventa un fenomeno cognitivo distribuito che si alimenta delle memorie di singoli individui, ma può prendere corpo in tutta la sua complessità solo attraverso la convergenza di molteplici racconti – autobiografici e storiografici, ma anche letterari, cinematografici, teatrali – che contribuiscono a gettare una luce sugli eventi e a elaborarne il senso. La raccolta e l’interpretazione di questo insieme di tracce consentono la costituzione di una memoria collettiva.

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Non tutto può essere ricordato; c’è un’ecologia della mente che provvede a eliminare il superfluo e a dispensarci una quota di necessario oblio. In certi casi, dimenticare può essere addirittura una condizione necessaria alla vita, come per coloro che sono affetti da disordine post-traumatico da stress, per i quali possono essere attivati interventi psicologici e farmacologici di attiva rimozione dei ricordi [6]. Certamente, molti testimoni della Shoah sono stati perseguitati in maniera drammatica dai loro ricordi e per qualcuno l’ipotesi di un oblio indotto avrebbe potuto rappresentare una liberazione; molti altri, tuttavia, hanno preferito percorrere la difficile strada della memoria nella forma condivisa del racconto, della condivisione sociale di quell’esperienza.

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Ovviamente nessuna vittima può essere, in alcun modo, obbligata a ricordare e a contribuire all’elaborazione della memoria collettiva. Oggi che il numero dei testimoni diretti di quegli eventi si assottiglia sempre più, dobbiamo essere particolarmente riconoscenti a coloro che, come Liliana Segre, continuano ad alimentare questo patrimonio di memoria collettiva; con la speranza che renderci sempre meglio presente questo passato e il suo monito negativo ci consenta di interpretare correttamente il presente e soprattutto di indirizzare meglio il futuro.

 

References

[1] Agostino, Confessioni, XI,20, 26.

[2] J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, II,27, 9.

[3] Ibi, II,10, 2.

[4] M. Halbwachs, La memoria collettiva, Unicopli, Milano 2001.

[5] P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, Il Mulino, Bologna 2004, p. 54.

[6] A. Lavazza, S. Inglese, Manipolare la memoria. Scienza ed etica della rimozione dei ricordi, Mondadori, Milano 2013.

Scritto da

Massimo Reichlin
Massimo Reichlin

Massimo Reichlin è Professore Ordinario di Filosofia Morale presso UniSR e Preside della Facoltà di Filosofia. Insegna Etica della vita, Etica contemporanea ed Ethical Theory and Hard Choices presso il corso Politics, Philosophy and Public Affairs attivato con l'Università degli Studi di Milano. Si è occupato di bioetica, neuroetica, etica contemporanea e storia del pensiero morale. È membro del direttivo della Società Italiana di Filosofia Morale e della Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze. Ama la montagna, la poesia e la musica classica.

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