Il mondo animale è ricchissimo in colori; gli animali vivono in un mondo colorato, ma raramente ci si ferma a riflettere su come tale colore sia prodotto e percepito, o come si sia evoluto.
Questo argomento parecchio interessante, e decisamente meno banale di quanto si potrebbe sospettare, ha attirato l’attenzione di Innes C. Cuthill e collaboratori, che in un bellissimo (e coloratissimo) articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista “Science” fanno il punto della situazione attuale, su ciò che è già noto circa le funzioni del colore negli animali, e le ricerche che il gruppo intenderà intraprendere per studiare in che modo il colore venga utilizzato come forma di comunicazione tra i singoli animali e come influisca sulle interazioni con parassiti, predatori e ambiente circostante.
Lo studio "scientifico" dei colori
Data la complessità del tema, è stato necessario coinvolgere esperti di diversi ambiti, quali biologi evoluzionisti, ecologisti comportamentali, psicologi, fisici ottici, fisiologi visivi, genetisti e antropologi. Negli ultimi vent’anni questo campo di ricerca si è espanso moltissimo, anche grazie ad avanzamenti tecnologici – spettrofotometria, digital imaging, neuroscienze computazionali, studi sul campo e analisi comparative su larga scala – che consentiranno di indagare quest’area con approcci sempre più tecnici e interdisciplinari.
La gola iridescente del colibrì dalla coda larga (Selasphorus platycercus) cambia drammaticamente nell’aspetto dal nero al magenta a seconda dell’angolo visivo e/o dell'angolo di illuminazione.
Da un punto di vista adattativo, il colore è stato (ed è) tutt’altro che irrilevante: molte delle funzioni “colorate” degli animali sono infatti il sorprendente e ingegnoso risultato di molteplici pressioni evolutive, tali che solo chi possedesse certe caratteristiche potesse essere adatto alla sopravvivenza in quel determinato ambiente. Nell’articolo (di cui qui di seguito citeremo solo qualche passaggio, oltre ad altre curiosità) si conclude che la colorazione animale media la relazione tra un organismo e il suo ambiente in diversi modi, tra cui segnalazione sociale tra individui, difesa contro i predatori, sfruttamento parassitario, termoregolazione, protezione dalla luce ultravioletta.
Esemplare di "canocchia pavone" (Odontodactylus scyllarus), crostaceo delle barriere coralline indo-pacifiche. La presenza di ben 16 coni (le cellule che consentono di vedere diversi colori), a differenza dell'essere umano che ne possiede solo 3, conferisce a queste creature la capacità di riconoscere diversi tipi di coralli e prede/predatori fluorescenti o quasi trasparenti.
Colorare per nascondersi
Quella del “nascondimento” è tra le funzioni più affascinanti (e vitali): confondere i predatori è essenziale per garantire la sopravvivenza. Per questo motivo spesso gli animali si mimetizzano contro uno sfondo dello stesso colore, riprendendo motivi e tonalità dell’ambiente circostante.
La raganella verde australiana possiede un colore verde brillante per confondersi col fogliame; gufi e civette si mimetizzano con il tronco degli alberi che li ospitano.
Il mantello rossastro delle volpi consente loro un mimetismo perfetto nei boschi autunnali. Nella savana, dove predominano una luce intensa e i prati ingialliti, troviamo animali dal manto ocra-dorato, come i leoni e le antilopi.
Nei territori che fanno seguire momenti invernali innevati a periodi di vegetazione rigogliosa, è utile alternare un mantello bianco per i periodi freddi a uno marrone per quelli temperati, come fa l’ermellino. Allo stesso modo, il colore del manto degli esemplari adulti del cervo dalla coda bianca è rossiccio-marrone d’estate, per virare poi a bruno-marrone opaco in inverno.
Sui ghiacciai invece civette delle nevi, orsi e cuccioli di foca hanno manti candidi (piccola curiosità: i peli dell’orso polare non sono bianchi, bensì trasparenti. Ogni pelo, privo di colore, contiene una tasca d’aria che riflette la luce del sole facendoli sembrare bianchi; la sua pelle, che si trova sotto la pelliccia, è invece completamente nera, in modo da assorbire la luce incidente).
E gli animali che vivono in branco?
Per nascondere la propria presenza è necessario assumere striature verticali, come fa la zebra, in modo che non sia possibile distinguere il suo contorno rispetto agli altri membri. Le striature diventano invece orizzontali nel caso di banchi di pesci come ad esempio il pesce farfalla procione, il cui corpo nero e giallo rende difficile per un predatore isolare un singolo individuo all’interno del gruppo.
Colorare per allertare
Giallo, rosso, arancione, azzurro…tanti sono i colori sgargianti che certi animali velenosi utilizzano per mettere in guardia eventuali predatori sulla loro tossicità. Alcune specie, ad esempio le rane tropicali, si rendono visibili utilizzando i loro colori come segnali di pericolo e per essere facilmente riconoscibili contro i fondali verdi e marroni che caratterizzano l’ambiente.
Colorare per imitare
La strategia di “allerta pericolo” è talmente efficace che altre specie, assolutamente innocue, la imitano fingendo una pericolosità che invece non rappresentano. Alcuni insetti usano questo tipo di travestimento: ad esempio, certe mosche presentano sul dorso lo stesso motivo giallo e nero delle vespe; serpenti innocui imitano il disegno a strisce nere e rosse del velenoso serpente corallo, così come la farfalla Viceroy mima la velenosa farfalla Monarca.
Colorare per corteggiare
In molte specie, soprattutto negli uccelli, il rito del corteggiamento si basa sui colori vivaci dei maschi, e sulla vistosa ed esibizionistica capacità di metterli in mostra.
È il caso ad esempio della fregata, che durante il corteggiamento gonfia l’appariscente sacca giugulare rosso acceso.
Il pavone invece fa la famosa “ruota”, ostentando la coda iridescente (che può ospitare fino a 175 “occhi”) attraverso complicate danze e movimenti. Le femmine preferiscono invece colori tenui, per poter covare e accudire i propri piccoli in piena tranquillità.