Un’osservazione empirica ha permesso di dimostrare gli inconfutabili benefici dell’esposizione alla luce: “Il nostro reparto è del tutto casualmente disposto in modo che ci siano delle stanze esposte ad est ed altre ad ovest.
Durante una mattina di maggio abbiamo misurato la differenza di lux [l’unità di misura per l’illuminamento, N.d.R.] tra le due aree: i pazienti che sono stati casualmente esposti alla luce hanno un’ospedalizzazione più rapida (ritornano a casa mediamente 2-3 giorni prima). Ripetendo la procedura anche in altre cliniche, ad esempio in alcuni centri a Berlino e in Svizzera con cui collaboriamo, si ottiene lo stesso risultato: l’esposizione delle stanze alla luce porta i pazienti a guarire in minor tempo, indipendentemente dalla terapia farmacologica cui sono sottoposti”.
Alla stessa conclusione, del resto, era già arrivata Florence Nightingale, la prima infermiera della storia, che esponeva al sole della Toscana i suoi pazienti con ferite chirurgiche, che così cicatrizzavano meglio e più in fretta. “Mentre all’epoca poteva non essere chiara la ragione biologica, oggi studi scientifici hanno dimostrato che la luce attiva gli enzimi responsabili della riparazione del danno tissutale, accelerando il processo di guarigione”.
Da qui è nata l’idea della terapia della luce. Per 30 minuti al giorno, al risveglio o ad un orario fisso stabilito dal medico sulla base di un test, i pazienti vengono esposti alla luce di una lampada particolare. La luce a cui i pazienti sono esposti assomiglia a quella di una giornata di sole, priva delle frequenze ultraviolette e infrarosse, e ha lo scopo di riassestare i ritmi biologici intaccati dalla depressione: si tratta quindi di una terapia antidepressiva a tutti gli effetti, che non presenta particolari controindicazioni.