Ottobre è il “Pink Month”, il mese che l’OMS ha designato per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della prevenzione del tumore della mammella. Il tumore al seno è infatti la neoplasia più frequente nella donna in qualsiasi fascia d’età ed è la prima causa di morte per tumore nelle donne. L’OMS stima che i casi di cancro al seno nel mondo siano più di 2,3 milioni all’anno e che nel 95% dei paesi sia la prima o la seconda causa di morte per cancro nella donna.
Come prevenire il tumore al seno? Quali terapie e cure sono attualmente disponibili? Qual è l’impatto psicologico di un tumore al seno? Ne parliamo in questo articolo con il Dott. Pietro Panizza, Medico Radiologo, Primario dell’Unità di Radiologia Senologica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, e con la Prof.ssa Valentina Di Mattei, Professoressa Associata e Specialista in Psicologia Clinica presso UniSR, Coordinatrice del Servizio di Psicologia Clinica della Salute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e Fondatrice e Responsabile del Programma “Salute allo Specchio”.
Prevenzione primaria e secondaria del tumore al seno
Quando si parla di prevenzione del tumore mammario occorre fare una distinzione tra prevenzione primaria e secondaria.
Prevenzione primaria
È atta ad evitare che il tumore si manifesti e, ad oggi, è fondamentalmente legata allo stile di vita, all’alimentazione e all’attività fisica (regole valide anche per le prime due cause di morte per malattia, ovvero tumori e patologie cardiovascolari). È stato ampiamente dimostrato che una vita sana, con un’alimentazione controllata, che limita alcuni cibi come i grassi animali, gli zuccheri, gli alcolici e privilegia frutta, verdura, cibi integrali e pesce, influisca positivamente sulla riduzione dell’incidenza dei tumori e nello specifico di quello mammario, che infatti è più diffuso nelle società occidentali, ovvero quelle più ricche.
Prevenzione secondaria
Consiste nel diagnosticare il tumore prima che possa fare danni ed è sostanzialmente la diagnosi precoce. Per quanto riguarda il tumore della mammella, da oltre 60 anni è stato dimostrato come gli screening mammografici possano avere un impatto sulla storia della malattia, riducendo la mortalità. La mammografia, che altro non è che la radiografia della mammella, è l’unico test che, ad oggi, ha dimostrato di poter ottenere questo risultato. Nata analogica, è divenuta digitale, poi simil-3D ed ora consente di acquisire immagini con iniezione endovena di mezzo di contrasto iodato, lo stesso della TC (tomografia computerizzata).
I programmi di screening organizzato dal Sistema Sanitario Nazionale prevedono l’invito alla donna di sottoporsi gratuitamente a mammografia presso centri specializzati, a partire dai 50 ai 69 anni e in alcune ASL dai 45 ai 74 anni, con cadenza annuale dai 45 ai 49 e biennale dai 50 ai 74 anni. Questo programma, che prevede la valutazione delle immagini mammografiche da parte di 2 Medici Radiologi in cieco (doppia lettura), ha dimostrato, nelle donne che rispondono all’invito e si sottopongono a mammografia periodica, di poter ridurre la mortalità fino al 40%.
Una discreta percentuale di donne tuttavia preferisce sottoporsi a mammografia spontaneamente, scegliendo un centro dove eseguirla; in questo caso si consigliano i controlli a partire dai 40 anni, con cadenza personalizzata, a seconda del tipo di mammella e della storia personale e familiare.
Al di sotto dei 40 anni la mammografia non è da considerare come esame di screening perché in questa fascia d’età il rischio biologico è maggiore e non è stata dimostrata l’efficacia di questo test circa la riduzione di mortalità. Può essere considerata in casi particolari che devono essere valutati direttamente dal Medico Radiologo. Circa l’uso dell’ecografia mammaria nelle giovani, in età pre-mammografia, non è stato scientificamente dimostrato che questo esame come, peraltro, la palpazione, impatti sulla mortalità. Si consiglia di eseguirla in caso auto-riscontro di alterazioni o quando richiesta ad una visita clinica da parte del medico di medicina generale o di uno specialista.
Scopri qui le indicazioni pratiche su come effettuare l’autopalpazione e i campanelli d’allarme a cui prestare attenzione
Dobbiamo infine considerare le donne ad alto rischio, principalmente quelle con mutazione genetica BRCA e non solo. La mutazione può essere trasmessa sia dalla madre sia dal padre, in uguale misura. Quando la storia familiare evidenzia il rischio di mutazione genetica, per esempio quando ci sono almeno 3 casi di tumore mammario tra parenti di 1° e 2° grado, occorre richiedere un consulto con il Medico Genetista che valutata la storia familiare e definisce se procedere a test genetico, che si esegue con un prelievo di sangue. Qualora il test dovesse essere positivo, si può considerare l’abbattimento del rischio tramite la chirurgia, con la mastectomia profilattica.
In alternativa ci si può sottoporre a programmi di sorveglianza, una sorta di screening su una popolazione selezionata, che prevede risonanza magnetica annuale alternata a 6 mesi con ecografia nelle giovani e mammografia ed eventuale ecografia dai 35/40 anni. In questa fascia di rischio vanno inserite anche donne che in giovane età sono state sottoposte a radioterapia del mediastino, ad esempio per linfoma. Altra forma di riduzione del rischio è la chemioterapia profilattica, tuttora in fase di studio, con risultati interessanti ma con un discreto rischio di effetti collaterali.
Le cure attualmente disponibili
Una volta identificate lesioni dubbie o sospette all’imaging occorre caratterizzarle mediante prelievo con ago, guidato dalle immagini, principalmente ecografiche ma anche mammografiche o con risonanza magnetica. Il prelievo può essere citologico mediante agoaspirato o istologico, con agobiopsia, previa anestesia locale. Sono procedure generalmente semplici, poco invasive.
Il prelievo istologico, oltre a definire la natura della lesione, fornisce informazioni biologiche sul grado di aggressività della lesione e sulla presenza di recettori ormonali e altri fattori che consentono di definire la migliore strategia di trattamento: per esempio, se procedere alla chirurgia o posticiparla e iniziare una terapia neoadiuvante o primaria, solitamente chemioterapica.
Al San Raffaele da diversi anni è attiva una Breast Unit (BU) o Centro di Senologia, come richiesto da SSN e SNR nel rispetto delle normative europee. La Brest Unit è un gruppo coeso di specialisti dedicati al cancro al seno che lavorano insieme; sono un team multidisciplinare con accesso a tutte le strutture necessarie per fornire cure di alta qualità durante tutto il percorso di diagnosi, cura e monitoraggio del cancro al seno.
La BU è costituita da chirurghi, oncologi, radiologi, patologi, radioterapisti e tecnici di radiologia, dedicati alla gestione della patologia mammaria, affiancati da medici nucleari, genetisti, psicologi, chirurghi plastici, fisioterapisti e tutti gli altri specialisti che possono portare un contributo alla diagnosi, al trattamento e al follow up fisico e mentale del paziente con tumore al seno.
Il tumore al seno negli uomini
Il tumore mammario si manifesta anche nel maschio e costituisce l’1% di tutti i tumori mammari e meno dello 0.5% dei tumori nel maschio. Circa il 20% dei casi si manifesta in soggetti con casi familiari di tumore della mammella e dell’ovaio e circa il 10% presentano la mutazione genetica BRCA2. Il tumore si manifesta esattamente come nella donna e si cura nello stesso modo. Vista la scarsa incidenza non è previsto alcun programma di sceening.
In soggetti maschili adolescenti o a seguito di trattamenti farmacologici, talvolta compare una nodularità palpabile retroareolare, spesso dolente e monolaterale, dovuta alla crescita della ghiandola mammaria: nei giovani si valuta con ecografia, altrimenti con la mammografia.
L’impatto psicologico del tumore al seno: l’esperienza di “Salute allo Specchio”
Una diagnosi di tumore al seno può avere un impatto profondo sull’equilibrio psicologico individuale. Durante il percorso di malattia, si possono sperimentare vari momenti di difficoltà che vanno dalla gestione delle complessità legate ai trattamenti, fino all’organizzazione della vita quotidiana. Il supporto psicologico non solo aiuta le pazienti a gestire lo stress emotivo, ma può anche avere un impatto positivo sulla loro qualità di vita, contribuendo a migliorare l’aderenza al trattamento e facilitare una comunicazione più efficace con il team medico.
Un esempio di questo approccio è rappresentato dal programma "Salute allo Specchio". Attraverso una collaborazione sinergica con un team multidisciplinare di professionisti, si propone di promuovere il benessere e la qualità di vita delle pazienti lungo tutte le diverse fasi del percorso di cura. Ciò avviene attraverso interventi supportivi finalizzati alla gestione degli effetti collaterali delle terapie, momenti formativi, di prevenzione e di ricerca.
References
- https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/breast-cancer
- https://www.salute.gov.it/portale/tumori/dettaglioContenutiTumori.jsp?lingua=italiano&id=5538&area=tumori&menu=vuoto
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- hsr.it/news/2021/ottobre/cura-prevenzione-tumore-seno-san-raffaele
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