Il testa a testa tra Joe Biden e il presidente uscente Donald Trump è finalmente giunto al termine. Lo spoglio infinito delle elezioni americane, durante le quali nonostante la pandemia in corso si è registrata un’affluenza alle urne da record, ha decretato un chiaro seppur non così netto vincitore.
Biden sarà il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, ma questo risultato inevitabilmente delude molti. Quali sono le implicazioni filosofiche? Quali gli scenari futuri che ci dobbiamo aspettare?
Ne riflettiamo con la Dott.ssa Maria Russo, Ricercatrice di Filosofia Morale presso la Facoltà di Filosofia UniSR.
Elezioni, televisioni e social media
Nel 1964 Marshall McLuhan commentava così lo scontro per conquistare la Casa Bianca tra Nixon e Kennedy, in un testo che avrebbe cambiato per sempre lo studio dei fenomeni mediatici, Understanding Media: The Extensions of Men:
“[Lo studioso tradizionale del medium tv] prende in esame il ‘contenuto’ dei dibattiti e il comportamento dei partecipanti, ma non gli viene mai in mente di chiedersi perché la tv possa essere inevitabilmente un disastro per una figura intensa e rilevata come quella di Nixon e un vantaggio per un personaggio nebuloso e ispido come Kennedy”. [1]
Al di là del giudizio personale di McLuhan, qui lo studioso canadese rivela un dinamismo che sempre più sarebbe diventato centrale per comprendere l’andamento e gli esiti finali degli scontri tra repubblicani e democratici negli Stati Uniti d’America, ossia l’impatto mediatico di candidati che hanno iniziato a fronteggiarsi in televisione e che oggi hanno allargato la loro arena anche nello spazio virtuale del web, in particolare sui social media.
Soprattutto questi ultimi sono al centro di una questione fondamentale: possono davvero contribuire al processo democratico, includendo maggiormente i cittadini, o sono piuttosto delle piazze che favoriscono anzitutto demagogia e populismo?
Il problema delle fake news
Ormai lo sappiamo: le notizie false hanno molto più successo rispetto alle notizie vere. Vengono condivise più spesso e creano vere e proprie echo chambers (secondo la nota definizione del Prof. Cass Sunstein) dove i gruppi politici rischiano solamente di polarizzarsi ulteriormente, senza lasciare alcuno spazio al confronto con chi la pensa diversamente (o forse con chi pensa tout court).
Non è un caso che nel 2016 Trump, complice anche il sostegno di Cambridge Analytica, abbia insistito moltissimo su Twitter, cercando di manipolare l’attenzione dell’opinione pubblica senza preoccuparsi troppo del tono e dei contenuti dei suoi interventi.
Fin dal suo discorso di insediamento era bene emersa la caratteristica fondamentale di una (anti)politica populista: la divisione tra “noi” e “loro” (americani e immigrati, ma anche l’establishment e il resto della popolazione), l’idea che il popolo americano sia stato tradito da Washington D.C. e che ora, invece, finalmente, torni al potere, nell’illusione di una democrazia più diretta.
Liberalismo vs populismo
Verrebbe da dire, sulla scia dell’entusiasmo di queste elezioni che ci hanno lasciato con il fiato sospeso, che ha vinto il liberalismo contro il populismo.
Eppure, la strada è certamente ancora lunga, e non solo per il fatto che Trump ha già dichiarato queste elezioni fraudolente, al punto che il suo discorso è stato bruscamente interrotto in diretta televisiva perché il tycoon non ha alcun tipo di remora nel diffondere fake news o notizie non ancora certificate da un qualche fact checking.
Bisogna interrogarsi su quale sia oggi la forma di liberalismo che dominerà la politica e l’economia americana per i prossimi quattro anni. E se si tratta di un liberalismo sano, che possiede gli anticorpi per il virus del populismo (metafora non casuale, dato che sicuramente l’incapacità di Trump di fronteggiare la pandemia di Sars-Cov-2 ha certamente influito sugli esiti finali della sua campagna).
Scenari futuri
Resta da chiedersi se Biden sarà davvero in grado di mitigare i conflitti sociali che sono esplosi nell’ultimo anno negli Stati Uniti, dato che la sua politica è dichiaratamente meno radicale di un candidato come Bernie Sanders, per la seconda volta escluso dai giochi politici in favore di un candidato democratico meno carismatico e maggiormente moderato.
Intanto Biden si è presentato alla nazione come il presidente di tutti – anche se per ora siamo lontani dalle vette retoriche raggiunte da un Obama che aveva fatto intravvedere nuovamente il sogno americano, quello secondo il quale tutto è possibile, perfino che il figlio di un uomo che non poteva sedere al ristorante con i bianchi diventi presidente. Questa narrazione continua con la scelta di Kamala Harris come vicepresidente: vediamo quali saranno le prossime mosse di Biden in modo da comprendere quale sarà la sua grande narrazione per gli Stati Uniti d’America.
[1] McLuhan M. "Gli strumenti del comunicare", Il Saggiatore, Milano 2015, p. 294