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Novavax: un nuovo/“vecchio” vaccino contro Covid-19

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Novavax: un nuovo/“vecchio” vaccino contro Covid-19

23 feb, 2022

È di questi giorni l’annuncio della imminente disponibilità di un nuovo vaccino contro COVID-19: si tratta di Nuvaxovid (NVX-CoV2373) prodotto da Novavax, società di biotecnologie americana.

A differenza dei precedenti, e giustamente celebrati, vaccini basati sull’innovativa strategia di somministrazione dell’RNA messaggero (mRNA) codificante la proteina Spike, il Nuvaxovid è basato su una più tradizionale tecnica di produzione della proteina Spike avvolta in una nanoparticella lipidica che ne aumenta l’emivita [il tempo che occorre affinché la concentrazione di una sostanza farmacologica nel sangue si riduca alla metà del valore iniziale, N.d.R.], somministrata assieme ad un adiuvante che induce una infiammazione sufficiente (e necessaria) a suscitare una buona produzione anticorpale.

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Schema che illustra il processo di produzione del vaccino Nuvaxovid. Modificato da https://cdn.filestackcontent.com/yQTESWPR7i65Aa0D9VEw 

 

Ovviamente, come già per i vaccini precedenti, la Spike è quella del ceppo originale di Wuhan e non è stata “aggiornata” con le recenti varianti virali (VOC, variants of concern). È importante però ricordare che tutti i vaccini, indipendentemente dalla strategia utilizzata per produrli, sono stati testati, per ragioni di necessità (ovvero per abbreviarne i tempi di approvazione), per la loro capacità di prevenire l’evoluzione clinica a malattia grave, e solo secondariamente per bloccare l’infezione. Questo spiega perché anche vaccini non ottimizzati contro le varianti dominanti in questo periodo (Delta e Omicron) mantengano una buona capacità protettiva rispetto all’evoluzione clinica dell’infezione.

Ma allora questo vaccino a subunità proteica sarà utile nella strategia complessiva di contenimento dell’infezione e della sua evoluzione clinica per chi ha contratto li virus?

La risposta è decisamente sì! Vediamo perché.

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Schema di confronto tra i vaccini a subunità proteica rispetto a vaccini basati su mRNA [2].

 

L’efficacia di Nuvaxovid e la strategia “prime-boost”

L’efficacia di Nuvaxovid è stata stimata in circa il 90% di capacità preventiva rispetto alla malattia clinica [1] anche se questi risultati sono stati ottenuti prima dell’emergenza di Omicron. Oltre al vaccino in oggetto è importante sottolineare che anche altri vaccini anti-COVID-19 sono basati su proteina già sintetizzata quali Soberana e Abdala, prodotti e utilizzati a Cuba anche nei bambini dai 2 anni in su con ottimi risultati al punto che Cuba ha iniziato a esportarli anche in altri paesi (Venezuela, Vietnam, Iran e Nicaragua) [2].

 

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Innanzitutto, una considerazione generale: la maggioranza dei protocolli vaccinali sperimentali è basata sulla strategia definita “prime-boost”, ovvero sull’immunizzare in prima battuta con un vaccino basato su vettore virale o mRNA (“prime”) seguito dalla somministrazione di un vaccino proteico (“boost”).

Questo perché è stato verificato sperimentalmente che tale modalità è più efficace di quella basata sulla somministrazione ripetuta dello stesso vaccino (come stiamo facendo da inizio campagna vaccinale contro COVID-19) o di quella a modalità invertita (prima la proteina, poi il richiamo con vettore virale). Il vaccino umano basato sulla somministrazione di una proteina virale maggiormente utilizzato per la sua comprovata efficacia è quello contro l’infezione da virus dell’epatite B.

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Un vaccino che non necessita della “catena del freddo”

La seconda considerazione riguarda l’estrema maneggevolezza dei vaccini a subunità proteica che non richiedono la “catena del freddo” necessaria per conservare i vaccini a mRNA, rendendoli quindi particolarmente adatti per essere esportati in Africa e in tutte le altre aree del mondo in cui i vaccini più sofisticati arrivano e/o sono distribuiti poco e male e anche per quelle persone più difficili da reclutare presso i centri vaccinali per motivi diversi (per esempio, per diffidenza verso i nuovi vaccini a mRNA).

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Una maggiore capacità di produzione

Terza considerazione, la capacità di produzione di vaccini proteici è molto superiore a quella di vaccini basati su mRNA. In un’intervista, Debora Birx, che ha affiancato Anthony Fauci nel periodo della presidenza USA di Donald Trump in qualità di coordinatrice della task force USA sulla COVID-19, ha dichiarato: “I vaccini a mRNA possono essere prodotti in milioni di dosi, mentre quelli a vettore virale e soprattutto a subunità proteica possono essere prodotti in miliardi di dosi” [3].

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Maggiore efficacia di induzione di anticorpi neutralizzanti

Infine, i vaccini basati su subunità proteiche sono in generale ritenuti più efficaci in termini d’induzione di anticorpi neutralizzanti (nAb) il virus in questione [4]. Tuttavia, è bene sottolineare come il ruolo degli anticorpi neutralizzanti nella protezione da COVID-19 non sia ancora del tutto chiarito in quanto altre modalità di risposta immunitaria indotte dalla vaccinazione (per esempio da parte dei linfociti T o dall’eterogeneo insieme di meccanismi che definiamo “immunità innata”) potrebbero contribuire in modo significativo.

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Efficacia di diversi vaccini nell’induzione di anticorpi neutralizzanti (modificato da [4]).

 

 

References

  1. L.M. Dunkle et al., Efficacy and Safety of NVX-CoV2373 in Adults in the United States and Mexico. NEJM. Dec 15, 2021. DOI: 10.1056/NEJMoa2116185
  2. A. Stingi. Vaccino Novavax, perché è diverso dagli altri e come può aiutarci contro il Covid. La Repubblica, 20/12/2021
  3. V. Mazza. Deborah Birx: «Trenta giorni decisivi per evitare che il virus diventi endemico». Corriere della Sera, 21/03/2021
  4. S. Pecetta et al., Antibodies, epicenter of SARS-CoV-2 immunology. Cell Death & Differentiation 2021. https://doi.org/10.1038/s41418-020-00711-w

Scritto da

Elisa Vicenzi e Guido Poli
Elisa Vicenzi e Guido Poli

Elisa Vicenzi e Guido Poli sono uniti nella vita e dalla passione per la ricerca scientifica iniziata, dopo le rispettive lauree in Farmacia (Vicenzi) e Medicina e Chirurgia (Poli) all’Università di Ferrara, prima all’Istituto per le ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano fino al 1986, poi al NIAID, NIH di Bethesda fino al 1993 dove Vicenzi si specializza nello studio della virologia molecolare di HIV, l’agente causale dell’AIDS, mentre Poli si concentra sul ruolo delle citochine nella regolazione della latenza e replicazione del virus. Rientrati in Italia, nel 1994 fondano l’Unità d’Immunopatogenesi dell’AIDS presso il neonato DIBIT dell’IRCCS San Raffaele di Milano; a seguito dell’epidemia di SARS (2003) Vicenzi si specializza in ricerca su virus emergenti ed è promossa Capo dell’Unità di ricerca “Patogeni Virali e Biosicurezza”. Nel 2021 l’Unità di ricerca viene ridefinita “Patogenesi virale e Biosicurezza” (Vicenzi) mentre Poli viene nominato Capo dell’Unità “H.I.V. – Immunovirologia Umana”. Al loro attivo hanno centinaia di pubblicazioni e due libri come Editori dedicati alle metodologie di ricerca su HIV (“Human Retroviruses. Methods and Protocols”, del 2013 e “HIV Reservoirs. Methods and Protocols”, 2022).

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