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Il Giudizio Universale di Michelangelo, tra svelamento e censura

Curiosiscienza

10 feb, 2022

Per un ciclo dedicato alle “immagini svelate” il tema apocalittico del Giudizio Universale di Michelangelo (1536-1541, Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano) pare particolarmente indicato.

Il termine “apocalisse” deriva dal greco apokálypsis (ἀποκάλυψις), composto di apó (ἀπό, da), e kalýptō (καλύπτω, nascondo) e significa “gettar via ciò che copre”, “togliere il velo”, “scoprire”, “disvelare”, “rivelare”. Svelamento connesso teologicamente proprio con l’articolarsi dei corpi nudi raffigurati da Michelangelo. I nudi michelangeleschi hanno infatti gettato via ciò che li copriva, ossia i loro vestiti, per evocare con l’esplicita forza espressiva dei loro corpi ipertrofici la “conformazione” e “incorporazione” al “corpo mistico” di Cristo, secondo quanto espresso dall’“antropologia della somiglianza” proposta dalla teologia escatologica di San Paolo.

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Michelangelo Buonarroti, Giudizio universale, Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano. 

Coprire le nudità del Giudizio Universale

Il principale messaggio che durante il Giudizio universale viene rivelato è proprio incentrato sulla resurrezione della carne degli eletti, chiamati a conformarsi al corpo stesso di Gesù Cristo. Figura, quest’ultima, che monumentale e “terribile” si pone al centro della composizione michelangiolesca, esibendo il suo apollineo corpo nudo mentre esercita il suo supremo potere giudicante, che insieme assolve e condanna (con la mano destra alzata condanna e con la sinistra assolve).

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Michelangelo, Giudizio universale, Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, part. Cristo giudicante 

L’esibizione delle nudità proposta da Michelangelo, sebbene – come si è visto – giustificabile in senso teologico, non piacque al Concilio di Trento che, l’anno stesso della morte di Michelangelo (1564), decise di incaricare un apprendista dell’artista, Daniele da Volterra, per dipingere lembi di stoffa e in alcuni casi braghe o vestiti interi per coprire le nudità della maggior parte dei personaggi del Giudizio universale del maestro.

 

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L’intreccio di questioni teologico-escatologiche con questioni di natura culturale legate al senso del decoro delle rappresentazioni sacre si articola e si complica ancora di più se si prende in considerazione il dilemma che i restauratori dell’affresco si trovarono ad affrontare (con la consulenza di soprintendenti e storici dell’arte) tra il 1990 e il 1994, durante la complessa e molto controversa fase di pulitura del Giudizio universale di Michelangelo. Capolavoro la cui piena leggibilità e godibilità era, secondo la maggior parte degli esperti, ormai compromessa perché velata da una patina di sporcizia composta da muffe d’umidità, fumi di candela, polvere secolare e da colle protettive applicate da precedenti restauri.

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Mantenere o eliminare gli interventi

A proposito della dialettica svelamento/velamento, gli incaricati di questa delicata fase di pulitura dovettero infatti decidere se mantenere o eliminare le integrazioni eseguite da Daniele da Volterra. La questione, in pratica, era quella di stabilire se restituire all’opera il suo aspetto originario, quello cioè concepito e realizzato dal suo autore, oppure se lasciare sussistere sulla superficie pittorica le integrazioni che nel corso del tempo si erano sovrapposte all’originale.

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Ritratto di Daniele Ricciarelli da Volterra, in Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, ed. 1568.

La soluzione fu quella, salomonica, di lasciare alcune tracce della censura tridentina quale testimonianza storica della ricezione (attiva e invasiva) dell’affresco di Michelangelo da parte dei suoi contemporanei e quale significativa documentazione visiva della mentalità dominante della seconda metà del XVI secolo, recuperando al tempo stesso il più possibile l’aspetto originario dell’affresco, soprattutto riguardo alla resa dei colori, la cui brillantezza ha, dopo la pulitura, favorevolmente impressionato il mondo intero. Del velamento di Daniele da Volterra, che a seguito di questa operazione di vestizione dei nudi michelangioleschi fu ironicamente sopranominato il “Braghettone”, sono ancora oggi rimasti alcuni dei panni e delle vesti che coprono le nudità dei santi. Fra i più significativi si possono ricordare: San Pietro, San Bartolomeo e Santa Caterina di Alessandria.

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Michelangelo, Giudizio universale, Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, part. Da sinistra a destra: San Pietro, San Bartolomeo, Santa Caterina d’Alessandria.

 

References

  • Careri G., Ebrei e Cristiani nella Cappella Sistina, Quodlibet, Macerata 2020.
  • Colalucci G., Io e Michelangelo, Edizioni Musei Vaticani, Città del Vaticano 2017.
  • Mancinelli F., The Painting of the Last Judgment: History, Technique and Restoration, in L. Partridge, Michelangelo: The Last Judgement. A Glorious Restoration. Harry N. Abrams, New York 2000.

Scritto da

Alessandro Rossi
Alessandro Rossi

Alessandro Rossi è Ricercatore di Storia dell’arte moderna presso la Facoltà di Filosofia UniSR dove insegna Storia dell’arte del Rinascimento e della modernità. È membro del Centro Europeo di Ricerca di Storia e Teoria dell’Immagine ICONE. È autore di numerosi articoli sull’arte rinascimentale e barocca e di due monografie, una sulla pittura del Cinquecento veneto e l’altra dedicata ai pittori leonardeschi. Ha inoltre pubblicato due raccolte di poesie. Definisce la storia dell’arte che negli anni sta sviluppando “antropologicamente orientata”.

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